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venerdì 5 aprile 2019

CINQUANT'ANNI DEL MESSALE ROMANO DI PAOLO vi




Una riforma per il rinnovamento
della Chiesa

Cinquant’anni del Messale Romano promulgato da Paolo VI 

05 aprile 2019

Cinquant’anni fa, il 3 aprile 1969, con la costituzione apostolica Missalis Romani, san Paolo VI promulgava il Missale Romanum rinnovato per decreto del concilio ecumenico Vaticano II. In essa indicava e motivava i cambiamenti più rilevanti apportati a questo libro liturgico, circa la preghiera eucaristica, il rito della messa, il lezionario. Il 6 aprile seguente, il dicastero competente pubblicava il decreto sul nuovo Ordo Missae, compreso l’Institutio generalis Missalis Romani, e il 25 maggio il decreto sull’Ordo lectionum Missae; l’anno successivo avrebbero visto la luce l’edizione tipica del Missale Romanum e dei volumi del suo Lectionarium.

Per portare a buon fine un’opera come questa ci è voluto il coraggio di Paolo VI, animato dalla sollecitudine pastorale per il popolo di Dio. Ne era consapevole egli stesso, che ha misurato per primo con lucidità il travaglio da affrontare e insieme la necessità di affrontarlo. Lo ha ricordato in numerosi discorsi, al Consilium, ai fedeli e al clero, guidando, spiegando, difendendo, promuovendo la riforma liturgica che ha nel Messale la sua più chiara espressione; e ciò al fine di rinnovare la Sposa di Cristo, giacché è mediante l’azione liturgica, in particolare la messa, che la Chiesa sperimenta la comunione trasfigurante con Cristo, per Cristo e in Cristo. Il Messale serve a celebrare la messa, e la messa serve a rinnovare la vita di chi vi partecipa.



Per quanto la riforma del Messale possa essere sembrata da subito una operazione innovativa di grande portata, come di fatto fu, si deve riconoscere che il terreno era stato preparato da tempo. Lo richiamava Paolo VI nella costituzione apostolica, menzionando dapprima l’intervento per l’adeguamento del Messale compiuto da Pio XII, negli anni Cinquanta, circa la veglia pasquale e i riti della Settimana santa. Era il primo passo, al tempo in cui il movimento liturgico fermentava il tessuto ecclesiale. Ora, dopo quanto provvisto da Giovanni XXIII, i padri conciliari si erano pronunciati chiedendo la revisione generale del Messale e non una cosmesi.

Il Papa volle dunque dare attuazione a tali disposizioni: «Il recente Concilio Ecumenico Vaticano II, promulgando la Costituzione Sacrosanctum Concilium, ha posto le basi della riforma generale del Messale Romano, stabilendo che: “L’ordinamento dei testi e dei riti deve essere condotto in modo che le sante realtà, da essi significate, siano espresse più chiaramente” (cf SC 21); che: “L’Ordinamento rituale della Messa sia riveduto in modo che apparisca più chiaramente la natura specifica delle singole parti e la loro mutua connessione, e sia resa più facile la pia e attiva partecipazione dei fedeli” (cf SC 50); e inoltre: “Perché la mensa della Parola di Dio sia preparata ai fedeli con maggiore abbondanza, vengano aperti più largamente i tesori della Bibbia” (cf SC 51)» (costituzione apostolica).



Quasi a parare le inevitabili obiezioni, il Papa precisava che «non bisogna pensare che tale revisione del Messale Romano sia stata improvvisata», essendo confortata dal progresso della scienza liturgica e dalla conoscenza delle antiche fonti liturgiche sconosciute ai riformatori tridentini. Tre furono gli ambiti maggiormente interessati. Anzitutto la decisione paolina di aggiungere al Canone romano altre tre preghiere eucaristiche, oltre all’arricchimento dei prefazi, «presi dall’antica tradizione della Chiesa Romana, o composti ex novo». Quindi l’Ordo Missae, circa il quale si spiegava come «i riti, pur conservandone fedelmente la sostanza, sono stati semplificati (cf SC 50). Si sono pure tralasciati quegli elementi che con il passare dei secoli furono duplicati o meno utilmente aggiunti (ibid.), soprattutto nei riti dell’offerta del pane e del vino e in quelli della frazione del pane e della Comunione. Si sono pure ristabiliti, secondo le tradizioni dei Padri, alcuni elementi che con il tempo erano andati perduti (cf ibid.); per esempio l’omelia (cf SC 52), la preghiera universale o preghiera dei fedeli (cf SC 53), l’atto penitenziale, cioè l’atto di riconciliazione con Dio e con i fratelli, all’inizio della Messa, che giustamente è stato rivalutato». Infine, il lezionario: secondo la prescrizione conciliare che «in un determinato numero di anni, si leggano al popolo le parti più importanti della Sacra Scrittura» (cf SC 51), l’ordinamento delle letture domenicali è stato disposto in un ciclo triennale, completato dal ciclo biennale per i giorni feriali.

Due esempi attestano come il Papa abbia seguito in prima persona i lavori di revisione della lex orandi del Messale, sentito il parere della Curia romana e di altre istanze. Il primo è un autografo sull’Ordo Missae: «Mercoledì, 6 novembre 1968 - ore 19-20.30. Abbiamo letto nuovamente, col Rev. P. Annibale Bugnini, il nuovo “Ordo Missae”, compitato dal “Consilium ad exsequendam Constitutionem de Sacra Liturgia”, in seguito alle osservazioni fatte da noi, dalla Curia Romana, dalla S. Congregazione dei Riti, dai partecipanti alla xi sessione plenaria del “Consilium” stesso, e da altri ecclesiastici e fedeli; e dopo attenta considerazione delle varie modifiche proposte, di cui molte sono state accolte, abbiamo dato al nuovo “Ordo Missae” la nostra approvazione, in Domino. Paulus pp. vi» (pubblicato su «L’Osservatore Romano» il 9 maggio 2018, a pagina 8). Il secondo autografo riguarda il Lezionario: «Non ci è possibile, nel brevissimo spazio di tempo che ci è indicato, prendere accurata e completa visione di questo nuovo ed ampio “Ordo Lectionum Missae”. Ma fondati sulla fiducia delle persone esperte e pie, che lo hanno con lungo studio preparato, e su quella dovuta alla sacra Congregazione per il Culto Divino, che lo ha con tanta perizia e sollecitudine esaminato e composto, volentieri noi lo approviamo, in nomine Domini. Nella Festa di S. Giovanni Battista, 24 Giugno 1969 Paulus pp. vi».



Con la sollecitudine del pastore, Paolo VI ha voluto spiegare e illustrare i motivi della riforma liturgica, la sua portata e l’estensione che andava assumendo, aiutando a cogliere tutto il positivo senza tacere delle resistenze che si opponevano al cambiamento, come delle fughe fuori pista che la deturpavano. Lo ricordava in questi termini all’udienza generale del 19 novembre 1969: «La riforma che sta per essere divulgata corrisponde ad un mandato autorevole della Chiesa; è un atto di obbedienza; è un fatto di coerenza della Chiesa con se stessa; è un passo in avanti della sua tradizione autentica; è una dimostrazione di fedeltà e di vitalità, alla quale tutti dobbiamo prontamente aderire. Non è un arbitrio. Non è un esperimento caduco o facoltativo. Non è un’improvvisazione di qualche dilettante» (Insegnamenti di Paolo VI, VII [1969] 1122).



Cosciente della propria autorità egli confermava la bontà della riforma liturgica nel discorso al Concistoro del 24 maggio 1976: «È nel nome della Tradizione che noi domandiamo a tutti i nostri figli, a tutte le comunità cattoliche, di celebrare, in dignità e fervore la Liturgia rinnovata. L’adozione del nuovo “Ordo Missae ” non è lasciata certo all’arbitrio dei sacerdoti o dei fedeli: e l’Istruzione del 14 giugno 1971 ha previsto la celebrazione della Messa nell’antica forma, con l’autorizzazione dell’Ordinario, solo per sacerdoti anziani o infermi, che offrono il Divin Sacrificio sine populo. Il nuovo Ordo è stato promulgato perché si sostituisse all’antico, dopo matura deliberazione, in seguito alle istanze del Concilio Vaticano II. Non diversamente il nostro santo Predecessore Pio V aveva reso obbligatorio il Messale riformato sotto la sua autorità, in seguito al Concilio Tridentino. La stessa disponibilità noi esigiamo, con la stessa autorità suprema che ci viene da Cristo Gesù, a tutte le altre riforme liturgiche, disciplinari, pastorali, maturate in questi anni in applicazione ai decreti conciliari. Ogni iniziativa che miri a ostacolarli non può arrogarsi la prerogativa di rendere un servizio alla Chiesa: in effetti reca ad essa grave danno» (Insegnamenti di Paolo VI, XIV [1976], 389).



Il Missale Romanum ha poi conosciuto traduzioni in diverse lingue, approvate dalle Conferenze dei vescovi e confermate dalla Sede apostolica. Così scriveva Paolo VI nella costituzione con cui lo promulgava: «Confidiamo che questo Messale sarà accolto dai fedeli come mezzo per testimoniare e affermare l’unità di tutti, e che per mezzo di esso, in tanta varietà di lingue, salirà al Padre celeste, per mezzo del nostro sommo Sacerdote Gesù Cristo, nello Spirito Santo, più fragrante di ogni incenso, una sola e identica preghiera».



Sono passati 50 anni, un giubileo! C’è da ringraziare il Signore. C’è da essere grati a Paolo VI per quanto ha offerto — soffrendo — alla Chiesa. Nel suo pensiero come nella sua opera, la riforma liturgica post-conciliare, in obbedienza a Sacrosanctum Concilium, non era finalizzata semplicemente alla revisione della forma celebrativa, ma al rinnovamento della Chiesa, mistero su cui il Papa si era soffermato nella sua enciclica programmatica, l’Ecclesiam suam.

di Corrado Maggioni
Sottosegretario
della Congregazione per il culto divino e la disciplina dei sacramenti


Fonte: L'Osservatore Romano 6 aprile 2019