Ez
18,25-28; Sal 24; Fil 2,1-11; Mt 21,28-32
Nella prima lettura, vediamo
che Dio ammonisce i figli d’Israele, tramite il profeta Ezechiele, e li
richiama al senso della responsabilità personale di fronte alle scelte della
vita: l’uomo è responsabile delle sue azioni, e queste sono strettamente
connesse con la giustizia. Perciò, se vogliamo una vita autentica, non possiamo
sottrarci a far propri i valori che la determinano; dobbiamo semplicemente
accettarli e viverli coerentemente. Anche dal brano evangelico emerge un forte
richiamo alla coerenza della vita. Servendosi, come al solito, di una parabola,
Gesù parla di due figli, ai quali il padre dà lo stesso ordine: “Figlio, oggi
va’ a lavorare nella vigna”. Il primo risponde con religioso rispetto e
docilità, ma non va a lavorare nella vigna come aveva promesso; il secondo
figlio, invece, risponde con arroganza e insolenza in senso negativo, ma alla
fine si ravvede e va in campagna a lavorare nella vigna. La morale della storia
è così chiara che Gesù vuole che siano i suoi stessi ascoltatori a ricavarla:
“Chi dei due ha compiuto la volontà del padre?”, domanda Gesù. Non c’è dubbio
dicono tutti: l’ultimo. La parabola sottolinea il contrasto che esiste tra il
dire e il fare, tra la parola e l’azione. Non basta la semplice conoscenza
teorica del vangelo o l’adesione verbale ad esso, ma occorre una conversione
totale in modo che l’insegnamento di Gesù sia tradotto in comportamento di
vita. Il sì della bocca è insufficiente, quello decisivo è il sì dei fatti.
Possiamo ben dire che non esiste affermazione di fede che non possa e non debba
essere verificata nella prassi della vita quotidiana. Nel regno di Dio entra
solo chi fa la volontà del Padre: “Non chiunque mi dice: Signore, Signore,
entrerà nel regno dei cieli, ma colui che fa la volontà del Padre mio che è nei
cieli” (Mt 7,21).
Nella seconda lettura, san
Paolo ci dà il punto di riferimento della nostra obbedienza al Padre. Siamo
infatti invitati ad avere in noi “gli stessi sentimenti di Cristo Gesù: egli,
pur essendo nella condizione divina […] svuotò se stesso assumendo una
condizione di servo […] umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte e
a una morte di croce”. Il brano paolino sintetizza le varie tappe del mistero
di Cristo: la sua preesistenza divina, l’abbassamento alla condizione di servo
nel mistero dell’incarnazione e una ulteriore umiliazione fino alla morte di
croce, alla quale fa seguito l’esaltazione. A noi interessa qui sottolineare
che queste tappe sono percorse da Cristo sotto il segno dell’obbedienza al
Padre.
Nella celebrazione eucaristica
noi comunichiamo sacramentalmente proprio con il mistero della morte di Cristo
e quindi della sua umiliazione e obbedienza. Notiamo però che la partecipazione
sacramentale esige una coerenza esistenziale che va al di là del momento
strettamente rituale.