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domenica 3 settembre 2023

IL VESCOVO “GRANDE SACERDOTE DEL SUO GREGGE” (SC n. 41)

 





 

1. Il vescovo è posto a capo di una Chiesa particolare e vi svolge in nome di Cristo l’ufficio di insegnare, santificare e governare (cfr. LG nn. 25, 26 ,27).

2. Sono uffici o compiti (keriygma-martyria, leiturgia, diakonia) che si presuppongono a vicenda e non possono essere separati l’uno dall’altro (cfr. Benedetto XVI, Deus caritas est n. 25).

3. Nel suo ufficio di santificare il vescovo è ministro dei sacramenti e regolatore di tutta la vita liturgica della Chiesa particolare. Bisogna mettere in particolare evidenza la celebrazione dell’eucaristia diretta dal vescovo (cfr. LG n. 26).

4. Perciò tutti devono dare la massima importanza alla vita liturgica della diocesi che si svolge intorno al vescovo, principalmente nella chiesa cattedrale: convinti che la principale manifestazione della Chiesa si ha nella partecipazione piena e attiva di tutto il popolo santo di Dio alle medesime celebrazioni liturgiche (cfr. SC n. 41).

5. In questo contesto, dovere del vescovo è essere un vero modello della presidenza celebrante. Egli deve fare delle celebrazioni episcopali, in particolare della celebrazione eucaristica, un tipo esemplare di partecipazione attiva e piena, che non si limiti alla doverosa osservanza formale delle norme rituali.

6. Attorno al ministero del vescovo nella Chiesa particolare si organizzano e si strutturano tutte le forme di ministerialità, di servizi e di uffici nei quali si articola la comunione ecclesiale (cfr. Caeremoniale Episcoporum n. 19).

7. Dato che l’assemblea cultuale, presieduta dal vescovo, è epifania nonché realizzazione della Chiesa, il rito cristiano è celebrato dai diversi membri dell’assemblea nella molteplicità dei ruoli e specificità delle funzioni che ognuno esercita in essa creando una sinfonia di ministeri (cfr. SC n. 28).

8. La presenza e l’attuazione nelle celebrazioni episcopali dei diversi ministeri, ordinati, istituiti e di fatto, illustra lo stretto rapporto che intercorre tra il sacerdozio comune dei fedeli e quello ministeriale dei ministri ordinati.

9. Le celebrazioni presiedute dal vescovo sono circondate in genere da una particolare solennità. San Paolo quando cerca di regolare la manifestazione comunitaria dei carismi, annuncia la regola d’oro della prassi liturgica: “Tutto avvenga decorosamente e con ordine” (1Cor 14,40). La semplicità dei gesti e la sobrietà dei segni posti nell’ordine e nei tempi previsti possono comunicare e coinvolgere di più che l’artificiosità di parole e gesti inopportuni (cfr. SC n. 34).

10. Celebrare la liturgia secondo la sua pienezza chiede di abbandonare la logica del minimo necessario. Se davvero nella liturgia la Chiesa vive il tempo della festa e del dono, essa deve convertirsi alla logica del massimo gratuito: ha senso fare anche cose che non sono strettamente indispensabili, poiché non è sufficiente che il rito sia valido, piuttosto deve essere espressivo di tutta la ricchezza di quello che viene celebrato.

 

                                                 Matías Augé cmf