1. Il vescovo è posto a capo
di una Chiesa particolare e vi svolge in nome di Cristo l’ufficio di insegnare,
santificare e governare (cfr. LG nn. 25, 26 ,27).
2. Sono uffici o compiti (keriygma-martyria,
leiturgia, diakonia) che si presuppongono a vicenda e non possono
essere separati l’uno dall’altro (cfr. Benedetto XVI, Deus caritas est
n. 25).
3. Nel suo ufficio di
santificare il vescovo è ministro dei sacramenti e regolatore di tutta la vita
liturgica della Chiesa particolare. Bisogna mettere in particolare evidenza la
celebrazione dell’eucaristia diretta dal vescovo (cfr. LG n. 26).
4. Perciò tutti devono dare la
massima importanza alla vita liturgica della diocesi che si svolge intorno al
vescovo, principalmente nella chiesa cattedrale: convinti che la principale
manifestazione della Chiesa si ha nella partecipazione piena e attiva di tutto
il popolo santo di Dio alle medesime celebrazioni liturgiche (cfr. SC n. 41).
5. In questo contesto, dovere
del vescovo è essere un vero modello della presidenza celebrante. Egli deve
fare delle celebrazioni episcopali, in particolare della celebrazione
eucaristica, un tipo esemplare di partecipazione attiva e piena, che non si
limiti alla doverosa osservanza formale delle norme rituali.
6. Attorno al ministero del
vescovo nella Chiesa particolare si organizzano e si strutturano tutte le forme
di ministerialità, di servizi e di uffici nei quali si articola la comunione
ecclesiale (cfr. Caeremoniale Episcoporum n. 19).
7. Dato che l’assemblea
cultuale, presieduta dal vescovo, è epifania nonché realizzazione della Chiesa,
il rito cristiano è celebrato dai diversi membri dell’assemblea nella
molteplicità dei ruoli e specificità delle funzioni che ognuno esercita in essa
creando una sinfonia di ministeri (cfr. SC n. 28).
8.
La presenza e l’attuazione nelle celebrazioni
episcopali dei diversi ministeri, ordinati, istituiti e di fatto, illustra lo
stretto rapporto che intercorre tra il sacerdozio comune dei fedeli e quello
ministeriale dei ministri ordinati.
9. Le celebrazioni presiedute dal vescovo sono circondate in genere da una particolare solennità. San Paolo quando cerca di regolare la manifestazione comunitaria dei carismi, annuncia la regola d’oro della prassi liturgica: “Tutto avvenga decorosamente e con ordine” (1Cor 14,40). La semplicità dei gesti e la sobrietà dei segni posti nell’ordine e nei tempi previsti possono comunicare e coinvolgere di più che l’artificiosità di parole e gesti inopportuni (cfr. SC n. 34).
10. Celebrare la liturgia secondo la sua pienezza chiede di abbandonare la logica del minimo necessario. Se davvero nella liturgia la Chiesa vive il tempo della festa e del dono, essa deve convertirsi alla logica del massimo gratuito: ha senso fare anche cose che non sono strettamente indispensabili, poiché non è sufficiente che il rito sia valido, piuttosto deve essere espressivo di tutta la ricchezza di quello che viene celebrato.
Matías
Augé cmf