Ez 33,1.7-9; Sal 94; Rm
13,8-10; Mt 18,15-20
Nella nostra riflessione, partiamo dalla seconda
lettura, in cui abbiamo ascoltato un pressante appello di san Paolo all’amore
vicendevole, “perché chi ama l’altro ha adempiuto la Legge”. Con queste parole,
l’Apostolo riconduce tutti gli obblighi e tutti i rapporti con i propri simili
all’amore (cf. anche 1Cor 13,1-8; Gal 5,14). Il messaggio è chiaro: alla base
di ogni rapporto personale, famigliare, ecclesiale o sociale ci deve essere una
logica di amore. La morale cristiana non è fondata su una serie di precetti,
più o meno negativi, ma sulla responsabilità di ognuno per l’altro.
Questo amore per il prossimo si manifesta anche
con la correzione fraterna. Un amore permissivo, incapace di denunciare il male
che affligge i nostri fratelli, è un falso amore. Ce lo ricordano le altre due
letture bibliche. Il profeta Ezechiele, viene affermato nella prima lettura, è
stato costituito dal Signore “sentinella per la casa d’Israele”: egli ha il
compito di denunciare la mancanza di fede del popolo, di smascherare gli ingiusti,
di richiamare il peccatore perché si converta. Se non lo facesse sarebbe
corresponsabile della sua perversione. Sappiamo bene che la presenza del male
non riguarda soltanto la società di altri tempi; è un problema con cui dobbiamo
fare i conti tutti i giorni. Esso ci coinvolge sempre personalmente.
Il brano evangelico riprende le stesse idee
della prima lettura ed espone in modo dettagliato le tappe del processo di
ricupero dell’errante, l’atteggiamento di avere nei confronti del fratello o
sorella che ha sbagliato. Non si tratta di norme disciplinari in senso proprio,
ma di una pressante esortazione a fare tutto il possibile per riportare il
colpevole sul giusto cammino. Assumendo una posizione passiva davanti agli
errori del nostro prossimo noi non perseguiamo la via dell’amore, della
solidarietà e della corresponsabilità. La correzione fraterna raccomandata da
Gesù comporta un atteggiamento di comprensione e di coraggio al fine di
consentire al fratello o sorella che è in errore di ravvedersi. Una tale
correzione non ha il carattere di azione punitiva ma è volta alla conversione
del fratello. Possiamo ben dire che la correzione fraterna è anzitutto un
grande esercizio di amicizia e perciò suppone che si ami l’altro come un “altro
me stesso” nella consapevolezza di essere assieme fragili ma anche forti, se e
in quanto uniti nella carità. Se il fratello o sorella non ci ascolta, dice
Gesù: “sia per te come il pagano e il pubblicano”. Nel Vangelo il pagano e il
pubblicano sono quelli da amare anche quando non ascoltano, quelli per cui si
dà la vita perché è l’unico modo per toccare il loro cuore. Come Cristo ha
fatto per noi.
Il brano evangelico riporta alla fine le parole
di Gesù sull’efficacia della preghiera comune: la comunità riunita nella carità
gode della presenza di Cristo e, in lui, ottiene dal Padre che progredisca la
riconciliazione universale. Il Signore è presente là dove c’è un’autentica
concordia nella preghiera.
La partecipazione all’eucaristia ha come frutto
il rafforzamento della “fedeltà e della concordia” dei figli di Dio (cf. preghiera
sulle offerte).