Essere
dispensati dal digiuno era una grande felicità, nei tempi antichi. Una ferrea
disciplina aveva creato logiche di alternanza tra digiuno e pasto. Anche le
pratiche sacramentali avevano a lungo risentito delle ‘normative del digiuno’,
che avevano segnato opere e giorni, tempi e consuetudini. Per esempio le norme
sul digiuno eucaristico avevano praticamente escluso ogni celebrazione
eucaristica pomeridiana e notturna. Il digiuno, però, se riconsiderato al di là
della sua logica disciplinare nella sua verità complessa, più che negare il
pasto, lo prepara e lo celebra.
Digiunare
non è il lato spirituale di ciò che materialmente è pasto. Piuttosto il
digiunare è preparazione, attesa, desiderio del pasto festivo. Siamo spirituali
più mangiando che digiunando. Questo è vero fin dalla contrapposizione tra un
Giovanni Battista che digiuna e un Gesù che mangia. Le cose migliori Gesù le
compie e le dice a tavola. La Quaresima è pasquale anche in questo senso:
predispone in anticipo lo spazio festivo di un mistero che si celebra prima per
tre giorni – ancora in una logica di pasto/digiuno – e poi per sette settimane
di banchetti eucaristici, fino a Pentecoste.
(Andrea Grillo, Iniziati
alla Pasqua. Meditazioni per la Quaresima, Queriniana 2017, 67-68)