At 2,14a.36-41; Sal 22 (23); 1Pt 2,20b-25; Gv 10,1-10
Sono
due le unità simboliche che reggono la poesia del Sal 22: quella pastorale,
tanto cara alla tradizione biblica e orientale in genere (cf. Ez 34 e Gv 10); e
quella dell’ospitalità (la mensa, l’olio profumato, il calice colmo), segno di
intimità. Il pastore non è solo la guida, è anche il compagno di viaggio. Nella
persona di Cristo, il Dio che fu Pastore e Ospite di Israele, si fa incontro
agli uomini con un volto umano e con amore e bontà che superano ogni
intendimento. Con questo salmo, che la tradizione pone sulle labbra dei
neobattezzati, anche noi manifestiamo la nostra volontà di proseguire con
impegno il nostro cammino battesimale sulle orme di Cristo buon Pastore.
Nel
brano del vangelo, Gesù si autodefinisce “buon pastore”. L’attesa di un
“pastore” che sapesse guidare con giustizia il popolo era sempre stata viva in
Israele (cf. Sal 22; Ez 34). Appropriandosi di questa immagine, Gesù intende
presentarsi come il Messia atteso, autentica guida, in grado di salvare l’uomo,
a differenza di qualsiasi altro, “ladro” e “brigante”. Gesù usa poi un’altra
immagine di cui pure si appropria: “io sono la porta delle pecore”. Il tema
della “porta” che dà accesso alle realtà celesti era frequente nella tradizione
giudaica (cf., ad esempio, Gen 28,17). Gesù è quindi l’unica porta attraverso
cui abbiamo accesso alla gloria: egli ci guida “ai pascoli eterni del cielo”
(orazione dopo la comunione).
Gesù
non fa derivare la sua autorità sull’uomo dal ricatto o da imposizioni di
qualsiasi genere, ma, come dice san Pietro nella seconda lettura, dall’esempio
che egli dà e dalla positività dei valori che propone: “Cristo patì per voi,
lasciandovi un esempio, perché ne seguiate le orme”. Il pastore cammina davanti
alle sue pecore (cf. Gv 10,4), si pone alla loro testa e le guida dentro la
realtà della storia.
Come
si entra a far parte del gregge o della comunità di Gesù? Ce lo spiega la prima
lettura, tratta dal discorso in cui san Pietro annuncia alla folla di
Gerusalemme il Cristo morto e risorto. Alla domanda degli ascoltatori a Pietro
e agli apostoli: “Che cosa dobbiamo fare, fratelli?”, Pietro risponde indicando
la triplice via che introduce nella Chiesa di Gesù: “Convertitevi”. Il pentimento o la conversione è la richiesta
fondamentale. “Ciascuno di voi si faccia battezzare
nel nome di Gesù Cristo”. L’essere battezzati nel nome di Gesù Cristo equivale
ad essere inseriti nel mistero della sua persona e della sua opera. Dopo
“riceverete il dono dello Spirito Santo”.
Dal Signore risorto che dona lo Spirito nasce la comunità dei risorti.
All’annuncio del vangelo, fa seguito la conversione, il battesimo e il dono
dello Spirito. Solo così si forma parte della Chiesa. Di questa Chiesa, Cristo
è porta di accesso ed è pastore che la guida. Quando, dopo la risurrezione,
Gesù affida a Pietro la guida della sua comunità gli chiede, come unica
condizione: “Simone, figlio di Giovanni, mi ami più di costoro?” (Gv 21,15).
Solo chi ama Gesù e agisce sotto il suo impulso può guidare correttamente la
comunità cristiana verso i pascoli della vita. Non si tratta di un amore –
sentimento, ma di un modo di pensare e di agire dove Gesù è il centro, la
sorgente e lo scopo.
Cristo
risorto esercita le sue funzioni di buon pastore soprattutto nell’eucaristia.
Qui viene in mezzo a noi, ci nutre col pascolo della sua parola e soprattutto,
con il suo corpo e il suo sangue. Qui ci dona l’abbondanza della vita.