Come
promesso, in questo post rispondo alla domanda rivoltami da un Anonimo il 20 maggio 2017, ore 23:37: “Quali sono, a suo avviso, i punti in cui
il messale detto di san Pio V necessita di riforme? Come si dovrebbero
realizzare, nel concreto, tali riforme?”
Per
rispondere a questa domanda (mi limito all’ordinario della messa), abbiamo come
punto di riferimento la Costituzione Sacrosanctum
Concilium (SC). Credo che tutti possiamo essere d’accordo sul fatto che
questa Costituzione è stata promulgata “affinché il sacrificio della messa
raggiunga la sua piena efficacia pastorale anche nella forma rituale” (SC 49).
Per raggiungere tale scopo, il Concilio “stabilisce quanto segue” (SC 49). Ciò
significa che quanto segue (nel documento) deve applicarsi al Messale in quel
momento in vigore, nello specifico si tratta del Missale Romanum del 1962.
Nel
n. 50 di SC, si chiede la revisione
dell’ordinario della messa. Al riguardo si stabilisce che: 1) “appaia più
chiaramente la natura specifica delle singole parti e la loro mutua
connessione”. Un esempio, al riguardo, potrebbe essere l’offertorio che
anticipa in alcune delle sue preghiere ciò che è proprio del canone della
messa. 2) Si stabilisce anche che “sia resa più facile la partecipazione pia e
attiva dei fedeli”. Esempi possono essere, oltre all’atteggiamento spirituale
prioritario: collocare gli altari non troppo lontani dall’aula; un maggior uso
della lingua parlata; più interventi con risposte e canti sia del coro che
dell’assemblea… Per raggiungere tutto ciò, 3) si stabilisce che “i riti,
conservata fedelmente la loro sostanza, siano semplificati”: un piccolo esempio
è la formula per la distribuzione della comunione che alcuni Padri chiesero di
ridurla all’espressione: “Corpus Christi. R/ Amen”; 4) “si sopprimano quegli
elementi che col passar dei secoli furono duplicati o aggiunti senza grande
utilità”: un esempio potrebbe essere la soppressione della lettura del prologo del
Vangelo di Giovanni, presente ancora nel Messale del 1962. Poi, 5) “alcuni
elementi che col tempo andarono perduti, siano ristabiliti…”: un esempio
potrebbe essere il ripristino della “preghiera universale o dei fedeli”, di cui
parla SC 53. Noto che i paragrafi 4) e 5) presuppongo naturalmente un giudizio
storico. L’applicazione concreta di queste norme è stato il compito della
Commissione ad hoc nominata dal Papa; questa Commissione ricevette i numerosi
interventi dei Padri conciliari su questo numero. Al riguardo, si può
consultare il volume a cura di Francisco Gil Hellín (Concilii Vaticani II Synopsis. Constitutio de sacra liturgia
Sacrosanctum Concilium, Editrice Vaticana 2003).
Nei
numeri seguenti della SC, si stabilisce: che “in un determinato numero di anni,
si legga al popolo la maggior parte della Sacra Scrittura” (SC 51); si esalta l’importanza
dell’omelia da non trascurare nelle domeniche e giorni festivi (SC 52); si
raccomanda la comunione sotto le due specie (SC 55); viene ripristinata la
concelebrazione eucaristica (SC 57-58).
A
tutto ciò si dovrebbe aggiungere quanto stabilito nel cap. I della SC sui
“principi generali per la riforma della liturgia”. Noto, ad esempio,
l’importante n. 21, in cui si afferma che “la Chiesa desidera fare una accurata
riforma generale della liturgia. Questa infatti consta di una parte immutabile,
perché di istituzione divina, e di parti suscettibili di cambiamento, che nel
corso dei tempi possono o addirittura devono variare…” Poi, nel n. 34, si
afferma che i riti devono splendere per “nobile semplicità”, evitare “inutili
ripetizioni” e “siano adatti alla capacità di comprensione dei fedeli”. Tra le
inutili ripetizioni del Messale del 1962, si possono indicare i ripetuti Dominus vobiscum… Ho indicato solo alcuni esempi; si potrebbero
citare altri.
Con
quanto detto sinteticamente, posso riaffermare che il Messale del 1962, per
volontà del Concilio Vaticano II, doveva essere riformato. Naturalmente le
decisioni conciliari possono essere interpretate in modo più o meno minimalista
o più o meno massimalista. Credo però che non si possa negare la vastità e
profondità della riforma proposta da SC. Oggi è di modo in alcuni ambienti tradizionalisti
affermare che la riforma di Paolo VI è andata oltre la lettera della
Costituzione liturgica. Il Card. Sarah invita a
riprendere la Costituzione Sacrosanctum
Concilium e leggerla onestamente. E’ un modo “soft” di rifiutare la
riforma. Invece altri, come il teologo Brunero Gherardini, hanno il coraggio di
criticare la stessa Costituzione, si sono resi conto che essa apre veramente la
porta ad una riforma in profondità (vedi quanto afferma il Gherardini nel suo
volume Concilio Ecumenico Vaticano II. Un
discorso da fare, Casa Mariana Editrice, Frigento 2009, in particolare pp.
144-145).
Più volte si è parlato del Messale Romano Latino-Italiano del 1965 come del Messale con la
traduzione e l’adattamento della Messa, secondo il dettato del Concilio
Vaticano II. Questo Messale, si dice, fu accettato pacificamente da tutti i
tradizionalisti. Noto però che a parte la scomparsa del salmo 42 all’inizio
della Messa e qualche altra piccola modifica, il testo è sostanzialmente quello
del Messale del 1962, anteriore al Vaticano II.
Quale autorità "giuridica" ha questo
Messale? Il titolo completo del Messale è Messale
Romano Latino-Italiano per i giorni feriali e le feste. Si tratta di una
edizione del Messale Romano quotidiano di
Dom G. Lefebvre o.s.b., a cura dell’Apostolato Liturgico di Genova. L’edizione
è stata "autorizzata" dalla Conferenza Episcopale Italiana. L’Imprimatur del Messale però è firmato il
24 giugno 1965 dal vescovo di Casale Monferrato Giuseppe Angrisani, città dove
ha la sede l’Editrice Marietti che ha stampato il volume. Il Messale è stato
pubblicato senza alcun Decreto della CEI. Si noti poi che la pubblicazione
delle diverse edizioni tipiche dei libri liturgici della Liturgia Romana sono
competenza della Santa Sede e le diverse edizioni sono introdotte da un Decreto
della Congregazione del culto divino (o prima: della Sacra Congregazione dei
Riti).
Da quanto detto, è evidente che il Messale del 1965
non forma parte della storia del Missale
Romanum, che ha conosciuto dopo l’edizione tipica di Pio V nel 1570 altre
diverse edizioni tipiche.
M.
A.