Translate

mercoledì 31 maggio 2017

SUMMORUM PONTIFICUM: DECIMO ANNIVERSARIO


 
 

di Riccardo Barile

 

A Herzogenrath, Germania, dal 29 marzo al 1 aprile ultimo scorso si è svolto il convegno “Quelle der Zukunft” (la fonte del futuro) nel X anniversario del motu proprio Summorum Pontificum di Benedetto XVI sull’uso del rito antico. Doveva esserci anche il cardinale Robert Sarah, prefetto della Congregazione per il culto divino, che non ha potuto partecipare, ma ha inviato una relazione presente in internet e pubblicata sul numero di aprile ultimo scorso di Studi Cattolici (“Continuità del movimento liturgico). Le parole del cardinale Sarah suscitano consensi, ma anche interrogativi e in ogni caso ci vorrebbe una riflessione, per la quale le righe che seguono sono un modesto avvio.
 
Due forme dello stesso rito. L’affermazione centrale è che ad oggi sono in vigore due forme dello stesso rito (romano); il Missale Romanum del 1962 e l’attuale Missale Romanum di Paolo VI, giunto alla terza edizione tipica del 2002. Per non parlare che della messa. Ma erano questi la lettera e lo “spirito” del Concilio? Sembra di no, stando al proposito che “la santa madre Chiesa desidera fare un’accurata riforma generale della liturgia” agendo non sulla “parte immutabile […] di istituzione divina”, ma sulle “parti suscettibili di cambiamento” (SC 21). Il risultato della riforma non doveva essere una novità, ma la riforma del Messale Romano allora corrente. Ciò avvenuto, “la legge posteriore abroga la precedente” quando, tra l’altro, “riordina integralmente tutta quanta la materia della legge precedente” (CIC 20).
 
Dunque, la situazione normale prevista dal Concilio era ed è di un solo rito in una sola “forma”. Quando si concesse l’uso del Messale precedente, si trattò di un indulto, giungendo alla situazione corretta di un solo rito e di un indulto per usare lo stadio precedente dello stesso rito. Poi il motu proprio stabilì che la forma precedente non era mai stata abolita, per cui siamo alla situazione attuale di due forme dello stesso rito. Ma se il Concilio avesse previsto una riforma così concepita, ne avrebbe fatto parola… e invece nulla. Dunque prendiamo coscienza di essere in una situazione legittima, ma atipica e non normale, come invece sembra presentarla il cardinale Sarah. Tra parentesi: perché la disposizione dovrebbe valere solo per il Messale del 1962 e non per l’Ordo romanus I all’incirca al tempo di san Gregorio Magno?
 
Ciò che è accettabile nelle idee e nella prassi è che ci siano dei gruppi di fedeli che celebrano secondo il rito antico e che vadano cordialmente accolti e favoriti; che la riforma seguente al Vaticano II abbia punti discutibili e lacune (ma non sino ad aver soppresso a tutti i costi il patrimonio antico); che ci sia un mutuo arricchimento tra la forma antica e la forma rinnovata, sebbene sempre da valutarsi nei dovuti modi, ecc.
 
Ciò che non è accettabile nelle idee e nella prassi è il rinnovamento del Messale antico (l’ha già fatto la riforma liturgica!). Sembra non accettabile recedere dalla liturgia della Parola verso il popolo: J. Ratzinger in Introduzione allo spirito della liturgia (San Paolo 2001, p. 69) cita in questo senso e con lode l’uso antico del “bema” attorno al quale i fedeli si radunavano. Ugualmente sembra un non ritorno la preghiera eucaristica proclamata in modo intelligibile, anche se è un arricchimento proclamarla / cantarla talvolta in latino o parteciparla in silenzio, ma a patto di averne una confidenza abituale in lingua corrente.
 
Ciò che sarebbe stato auspicabile, ma che invece non è avvenuto, è un rito riformato (il Messale attuale) e un indulto per l’uso del Messale precedente senza motivazioni teologiche. Ratzinger però è caduto nella tentazione dell’intellettuale: voler spiegare tutto. Un uomo di governo avrebbe fiutato che sì era il caso di promulgare una normativa, ma senza spiegazioni teoriche, lasciando che fossero altri a dire che il rito antico non era mai stato abolito. Così non è stato. Ma a Ratzinger siamo grati di tanti altri suoi bellissimi interventi.
 
Puntare al rito attuale. In conclusione, è meno opportuno pensare e lavorare nella prospettiva di due forme che convivono ex equo, anche se va accennato che oggi la situazione è questa. Bisognerebbe invece puntare di più sul ricupero di certi elementi di silenzio – o meglio “parole misurate e di preghiera” –, di sacralità, di bellezza, di obbedienza rubricale, di uso del latino ecc. all’interno del rito attuale, che “sopporta” tutto questo e non si identifica come spesso lo si pratica.
 
Fonte: Vita pastorale N. 62017