di
Riccardo Barile
A
Herzogenrath, Germania, dal 29 marzo al 1 aprile ultimo scorso si è svolto il
convegno “Quelle der Zukunft” (la
fonte del futuro) nel X anniversario del motu
proprio Summorum Pontificum di
Benedetto XVI sull’uso del rito antico. Doveva esserci anche il cardinale
Robert Sarah, prefetto della Congregazione per il culto divino, che non ha
potuto partecipare, ma ha inviato una relazione presente in internet e
pubblicata sul numero di aprile ultimo scorso di Studi Cattolici (“Continuità del movimento liturgico). Le parole
del cardinale Sarah suscitano consensi, ma anche interrogativi e in ogni caso
ci vorrebbe una riflessione, per la quale le righe che seguono sono un modesto
avvio.
Due forme dello
stesso rito. L’affermazione
centrale è che ad oggi sono in vigore due forme dello stesso rito (romano); il Missale Romanum del 1962 e l’attuale Missale Romanum di Paolo VI, giunto alla
terza edizione tipica del 2002. Per non parlare che della messa. Ma erano
questi la lettera e lo “spirito” del Concilio? Sembra di no, stando al
proposito che “la santa madre Chiesa desidera fare un’accurata riforma generale
della liturgia” agendo non sulla “parte immutabile […] di istituzione divina”,
ma sulle “parti suscettibili di cambiamento” (SC 21). Il risultato della
riforma non doveva essere una novità, ma la riforma del Messale Romano allora corrente. Ciò avvenuto, “la legge posteriore
abroga la precedente” quando, tra l’altro, “riordina integralmente tutta quanta
la materia della legge precedente” (CIC 20).
Dunque,
la situazione normale prevista dal Concilio era ed è di un solo rito in una
sola “forma”. Quando si concesse l’uso del Messale
precedente, si trattò di un indulto, giungendo alla situazione corretta di
un solo rito e di un indulto per usare lo stadio precedente dello stesso rito.
Poi il motu proprio stabilì che la
forma precedente non era mai stata abolita, per cui siamo alla situazione
attuale di due forme dello stesso rito. Ma se il Concilio avesse previsto una
riforma così concepita, ne avrebbe fatto parola… e invece nulla. Dunque
prendiamo coscienza di essere in una situazione legittima, ma atipica e non
normale, come invece sembra presentarla il cardinale Sarah. Tra parentesi:
perché la disposizione dovrebbe valere solo per il Messale del 1962 e non per l’Ordo
romanus I all’incirca al tempo di san Gregorio Magno?
Ciò che è accettabile
nelle idee e nella prassi è che ci siano dei gruppi di fedeli che celebrano
secondo il rito antico e che vadano cordialmente accolti e favoriti; che la
riforma seguente al Vaticano II abbia punti discutibili e lacune (ma non sino
ad aver soppresso a tutti i costi il patrimonio antico); che ci sia un mutuo
arricchimento tra la forma antica e la forma rinnovata, sebbene sempre da
valutarsi nei dovuti modi, ecc.
Ciò che non è
accettabile nelle idee e nella prassi è il rinnovamento del Messale antico (l’ha già fatto la riforma liturgica!). Sembra non
accettabile recedere dalla liturgia della Parola verso il popolo: J. Ratzinger
in Introduzione allo spirito della
liturgia (San Paolo 2001, p. 69) cita in questo senso e con lode l’uso
antico del “bema” attorno al quale i fedeli si radunavano. Ugualmente sembra un
non ritorno la preghiera eucaristica proclamata in modo intelligibile, anche se
è un arricchimento proclamarla / cantarla talvolta in latino o parteciparla in
silenzio, ma a patto di averne una confidenza abituale in lingua corrente.
Ciò che sarebbe stato
auspicabile, ma che invece non è avvenuto, è un rito riformato (il Messale attuale) e un indulto per l’uso del
Messale precedente senza motivazioni
teologiche. Ratzinger però è caduto nella tentazione dell’intellettuale: voler
spiegare tutto. Un uomo di governo avrebbe fiutato che sì era il caso di
promulgare una normativa, ma senza spiegazioni teoriche, lasciando che fossero
altri a dire che il rito antico non era mai stato abolito. Così non è stato. Ma
a Ratzinger siamo grati di tanti altri suoi bellissimi interventi.
Puntare al rito
attuale.
In conclusione, è meno opportuno pensare e lavorare nella prospettiva di due
forme che convivono ex equo, anche se
va accennato che oggi la situazione è questa. Bisognerebbe invece puntare di
più sul ricupero di certi elementi di silenzio – o meglio “parole misurate e di
preghiera” –, di sacralità, di bellezza, di obbedienza rubricale, di uso del
latino ecc. all’interno del rito attuale, che “sopporta” tutto questo e non si
identifica come spesso lo si pratica.
Fonte:
Vita pastorale N. 62017