Come
ogni abito, anche le vesti per la liturgia sono sempre in relazione con l’immagine
che colui che le indossa ha di sé o che vuole dare di sé come presbitero e, di
conseguenza, l’immagine di Chiesa che con le vesti liturgiche si intende
rappresentare ed esprimere. Di sua natura l’abito è sempre frutto di un
immaginario e, al tempo stesso, genera un immaginario, per questo il presbitero
che sceglie di indossare abiti liturgici di forma e foggia barocca, proietta un
immaginario barocco su sé stesso e sull’intera liturgia che presiede. Anche
inconsapevolmente, realizza un’immagine di Chiesa e di ministero ordinato che
non corrisponde all’oggi tanto della Chiesa quanto del mondo nel quale essa
vive e con il quale si realizza. Si attua e, in certi casi si persegue una
forma di anacronismo che crea distanza spirituale e culturale tra la
rappresentazione che nella liturgia si dà della Chiesa e l’oggi della storia.
Una consapevole non accettazione del presente è sempre una fuga dalla realtà.
Questo
spirito è bene espresso nell’accenno che la costituzione del Vaticano II sulla
liturgia riserva alle vesti liturgiche: “Nel promuovere e favorire un’autentica
arte sacra, gli Ordinari facciano in modo di ricercare piuttosto una nobile
bellezza che una mera sontuosità. E ciò valga anche per le vesti e gli
ornamenti sacri” (SC 124).
Fonte:
Goffredo Boselli, Sorgenti di vita.
Liturgia e ricerca spirituale, San Paolo, Cinisello Balsamo 2017, pp.
85-86.