Manuel Belli, Sacramenti tra dire e fare. Piccoli
paradossi e rompicapi celebrativi (Giornale di Teologia 412), Queriniana,
Brescia 2018. 263 pp. (€ 18,00).
L’autore, giovane professore
di teologia sacramentaria, ci offre in questo libro una stimolante riflessione sui
paradossi e rompicapi celebrativi. Dopo un primo e breve capitolo dedicato a
“come sta la riforma liturgica”, il resto dei capitoli affrontano tematiche su
alcuni sacramenti: l’eucaristia (cap. 2o), l’iniziazione cristiana
(cap. 5o-7o), la confessione (cap. 8o), il
ministero ordinato (cap. 9o), il matrimonio cap. 10o). Il
tutto si chiude con “Quasi una conclusione”.
La riforma liturgica (cap. 1o)
più che un punto di arrivo, è un punto di partenza. Ridotta a una rivisitazione
dei testi, essa termina il suo compito con l’edizione dei libri. In questo
contesto, l’autore denuncia giustamente la deriva di carattere
intellettualistico nella pratica liturgica: il rito sarebbe qualcosa da capire
e quindi si moltiplicano le spiegazioni. Da un lato il rito è esposto a una sua
riduzione minimale e dall’altro si sviluppa un pensiero didascalico che vede
nel rito semplicemente la sua occasione. Non si tratta di dichiarare una “non pensabilità”
dei riti, ma di adottare una forma di pensiero del complesso delle questioni
rituali in gioco.
Nel cap. 2o sono
analizzati i paradossi di cinque momenti della celebrazione eucaristica.
L’autore si pone questo interrogativo: che ne è di un rito che “si fa” quando
viene pensato come qualcosa che “si dice”? L’eucaristia è fatta dalla Chiesa e
realizza la Chiesa in un rito in cui i credenti attestano di essere fisicamente convocati, ma osservando la
gestualità dell’assemblea liturgica, la celebrazione sembra piuttosto una somma
di individualità che partecipa all’atto liturgico più che un corpo ecclesiale
che celebra il mistero della propria unità. Così, ad esempio, la dislocazione
spaziale in chiesa non raramente denota alcuni “privati” che assistono ad una
celebrazione più che ad un corpo ecclesiale che celebra insieme l’eucaristia.
Gli altri momenti della
celebrazione della messa analizzati sono: l’atto penitenziale (raramente
l’esame di coscienza dura più di una decina di secondi); l’ascolto delle
letture (la disponibilità dell’intera assemblea del libro liturgico non la
rende un popolo in ascolto, ma una somma di singoli che studia); la presentazione
dei doni del pane e del vino (una battuta: ci vuole più fede a credere che il
pane eucaristico sia pane, che non a credere che in quel pane ci sia Cristo!);
la frazione del pane (dovrebbe esprimere la condivisione del medesimo, ma si
riduce a spezzare a metà la particola del prete, che poi lui stesso consuma).
Non è facile riassumere i due
impegnativi capitoli sulla transustanziazione (3o) ed i plurali
linguaggi di presenza (4o). La dottrina della transustanziazione
richiede numerosissime spiegazioni previe (e non sempre condivisibili) degli
strumenti metafisici evocati, in quanto non evidenti. Dopo Cartesio, parlare di
sostanza non è più lo stesso che ai tempi di Tommaso d’Aquino. Far diventare la
transustanziazione l’unico discorso cristiano sull’eucaristia è limitante. L’eucaristia
è prima di tutto un atto liturgico, e quest’ultimo è luogo della presenza di
Cristo, non è semplicemente l’occasione della transustanziazione.
Il cap. 5o sulla
prima comunione dei bambini, il “rompicapo dell’iniziazione cristiana” (cap. 6o)
e lo specifico della confermazione (cap. 7o) si inseriscono in un
dibattito di una certa attualità, soprattutto in Italia. Come ricuperare la
prassi catecumenale antica? Ordine o disordine della celebrazione dei tre
sacramenti dell’iniziazione? Andrea Grillo propone di tornare alle evidenze
rituali e antropologiche: nella Chiesa si entra essendo lavati nel battesimo,
profumati nella cresima, nutriti nell’eucaristia.
Sulla crisi della confessione (cap.
8o) si afferma che la contrazione del sacramento della penitenza
nella coppia “confessione-assoluzione” ha generato anche una sua
insignificanza. La penitenza non è tutta nel confessionale e quindi non basta
ricondurre ad esso i fedeli. La penitenza è la vita cristiana tout court, letta sotto il profilo della
lotta continua con ciò che non è secondo il vangelo di Cristo.
Sui “disordini del ministero
ordinato” (cap. 9o), il Vaticano II ha espresso l’idea che il presbiterato
si concretizza nell’entrare a far parte del presbiterio (cf. LG 28; PO 8). Il
ministero del presbitero, dunque, non può essere pensato al singolare. Con lo
svilupparsi del cristianesimo rurale, il numero dei presbiteri aumentò e le forme
di collegialità cambiarono. Le immagini del presbitero che si sviluppano
iniziarono ad essere individuali. Ecco quindi un primo nodo paradossale del
ministero ordinato: teologicamente plurale, di fatto singolare.
Il matrimonio (cap. 10o)
ha condiviso la sorte di tutti gli altri sacramenti: la teologia infatti ha
prodotto una riflessione sulle categorie di comprensione dei sacramenti stessi,
trascurando ciò che del sacramento è l’elemento più evidente, ossia la sua
forma rituale. La rimozione del rito del matrimonio, la poca cura per l’aspetto
esistenziale del matrimonio e le difficoltà in termini di reintegrazione delle
situazioni ferite appartengono ad un’unica logica, ossia il difficile
accostamento di storia e verità. L’idea del matrimonio come “sacramento naturale”
non deve porre in contrapposizione natura e storicità.
Il prof. Manuel Belli afferma che
ha scritto un libro di domande più che di risposte. La lettura però del suo
libro, di cui ho tracciato una superficiale sintesi, è fortemente salutare per
evitare gli errori e aprire il cammino alle risposte.