Il tema delle soglie potrebbe subito far pensare alla
classica dialettica fra sacro e profano che accompagna normalmente la logica
del tempio arcaico. Una linea netta separava rigidamente lo spazio profano
della vita secolare da quello sacro della presenza divina. Le due sfere del
resto erano rigorosamente distinte. La soglia verso il sacro restava nella
norma inaccessibile. Sigillava il confine di uno spazio interdetto, salvo alle
specifiche facoltà della mediazione sacerdotale.
Per il cristianesimo le soglie hanno un significato
diverso: benché abbiano anche la funzione di distinguere, esse non hanno il
compito di interdire, piuttosto hanno la funzione di introdurre. La forma
cristiana della relazione religiosa del resto non oppone una profanità del
secolare a una sacralità trascendente. Le sa distinguere ma non accetta di
contrapporle. Le sue radici anticotestamentarie e le sue origini evangeliche si
fondono entrambe, per quanto in modo diverso, sulla concezione di un divino che
della scena secolare ha fatto il luogo reale della sua presenza, non
semplicemente il teatro astorico della sua manifestazione. Il corpo di Gesù,
verità ultima di questo principio, resta per sempre la tenda messa da Dio nel
mondo, tempio aperto all’intera umanità, veicolo dello Spirito che non resta
confinato in un sacello inaccessibile ma riempie il mondo intero.
Le soglie cristiane perciò non trattengono e non
separano. Ma collegano e modulano. Come il vero tempio in cui Dio trova casa è
la comunità dei discepoli convocati dalla sua memoria, così le soglie che
introducono in esso sono figura di un cammino iniziatico che simbolicamente
continua a rinnovarsi. Attraversando le sue forme, in una qualsiasi delle
nostre chiese, si ritualizza il cammino che introducendo nella comunità ha
portato nella pienezza della vita cristiana. Si è ogni volta come introdotti di
nuovo.
Fonte: Giuliano Zanchi, Luoghi della grazia. La liturgia e i suoi spazi (Grammatica della liturgia), Cinisello Balsamo, San Paolo
2018, pp. 47-48.