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domenica 3 marzo 2019

L’ISTANTE DELLA CONSACRAZIONE COME TEMPO SACRAMENTALE




 


Tra le tesi che figurano nei manuali di teologia scolastica ve n’è una che afferma l’istantaneità della transustanziazione. La possiamo leggere nella formulazione stessa di san Tommaso: “[…] questa trasformazione si compie per mezzo delle parole di Cristo pronunciate dal sacerdote, di modo che l’ultimo istante in cui sono pronunciate le parole è il primo istante in cui il corpo di Cristo è presente nel sacramento […]; è allora infatti che si completa il significato delle parole, che è efficace nelle forme dei sacramenti. Da ciò consegue che questa trasformazione non avviene in maniera successiva” (Sum. Theol. 3, q. 75, a. 7, ad 1 et 3).


Qui san Tommaso è preoccupato di mettere in guardia contro la tentazione di concepire la transustanziazione sulla falsariga di un’eclissi dove, a misura che un corpo celeste svanisce ai nostri occhi, un altro ne perde il posto. Se così avviene per la trasformazione eucaristica questa progressiva sostituzione tra due sostanze comprenderebbe inevitabilmente, sia pure per un breve momento, la compresenza di entrambe, con il conseguente rischio di cadere nella teoria della consustanziazione. Ma non è così per la presenza eucaristica. Questa infatti si compie in un istante, che san Tommaso coerente con l’assolutizzazione esclusiva dell’efficacia delle parole istituzionali, fa culminare con l’ultimo istante in cui si completa la loro proclamazione.


Un’analoga riflessione sull’istante della trasformazione eucaristica, ma interiore di vari secoli a quella di Tommaso d’Aquino, si trova già in quell’antesignano della teoria ortodossa che fu Babai il Grande (+ 628). Nel suo trattato di cristologia nestoriana così egli afferma: “[…] all’invocazione del sacerdote, nella supplica sopra i misteri della nostra salvezza, quando il sacerdote dice: ‘Venga la grazia dello Spirito Santo e dimori sopra questo pane e sopra questo calice, e li faccia corpo e sangue del Signore nostro Gesù Cristo’, allora, alla voce del sacerdote, subito, in  un batter d’occhio, crediamo che il sacramento esiste, e che la grazia dello Spirito Santo dimora e porta a pienezza i misteri della nostra salvezza, affinché siano il corpo e il sangue di Cristo […]”.


Pur prendendo atto che la trasformazione che la trasformazione eucaristica avviene in un istante, resta il fatto che qui gli istanti sono due: quello cattolico delle parole istituzionali e quello ortodosso dell’epiclesi, peraltro esclusivi l’uno dell’altro. Rinunciando a contrapporre questi due istanti, preferiamo tentare la via della composizione, prendendo spunto da un autorevole pronunciamento tridentino. Nel caso nostro dovremo avvalerci, rispetto alla categoria tempo, di una considerazione analoga a quella che, in riferimento alla categoria spazio, il Concilio di Trento fa intervenire per spiegare i due modi della presenza di Cristo, sempre assiso alla destra del Padre e nondimeno realmente presente sui nostri altari (cfr DS 1636). Al fisicista, che in nome della sua logica sarebbe tentato di ribellarsi all’idea di due distinte presenze reali di un medesimo corpo, la fede tridentina risponde dicendo che la categoria di spazio fisico è inadeguata per spiegare il mistero, giacché in questo caso non si tratta di due presenze fisiche, bensì di due diversi modi dell’unica reale presenza di Cristo: quella fisica o naturale alla destra del Padre e quella sacramentale sui nostri altari.


Analogamente, se vogliamo comprendere come l’efficacia assoluta delle parole della consacrazione si componga con l’efficacia dell’epiclesi consacratoria e viceversa, dobbiamo riconoscere che qui non si tratta di due trasformazioni successive e distinte nel tempo, bensì di due momenti congiunti e reciprocamente ordinati dell’unica transustanziazione. In altri termini: come la categoria di spazio fisico è inadeguata per spiegare la modalità della presenza sacramentale, così pure la categoria di tempo fisico è inadeguata per spiegare la produzione del corpo sacramentale.


Perciò, in analogia con Trento, che respinge l’alternativa “o tutto in cielo o tutto sull’altare”, diremo: non vi è alcuna contraddizione nell’affermare che il mistero della transustanziazione si compie tutto quanto nel momento delle parole istituzionali e tutto quanto nel momento dell’epiclesi, giacché il tempo sacramentale non è un tempo fisico, bensì è tempo meta ta physika, un tempo cioè che sfugge alle misurazioni del cronometro. Inoltre, sempre in analogia con Trento, di questo tempo sacramentale diremo: anche se a stento lo possiamo esprimere con parole, tuttavia con una riflessione illuminata dalla fede lo possiamo riconoscere come possibile a Dio, e dobbiamo fermamente credere nella modalità operativa ad esso propria.


 


Fonte: Cesare Giraudo S.I., Preghiera eucaristica e teologia. Per una soluzione della controversia sull’epiclesi, in “La Civiltà Cattolica”, n. 4017 (2/16 febbraio 2019), pp. 236-249 (qui, pp. 244-246).