L’ISTANTE DELLA CONSACRAZIONE COME TEMPO SACRAMENTALE
Tra le tesi che figurano nei
manuali di teologia scolastica ve n’è una che afferma l’istantaneità della
transustanziazione. La possiamo leggere nella formulazione stessa di san
Tommaso: “[…] questa trasformazione si compie per mezzo delle parole di Cristo
pronunciate dal sacerdote, di modo che l’ultimo istante in cui sono pronunciate
le parole è il primo istante in cui il corpo di Cristo è presente nel
sacramento […]; è allora infatti che si completa il significato delle parole,
che è efficace nelle forme dei sacramenti. Da ciò consegue che questa
trasformazione non avviene in maniera successiva” (Sum. Theol. 3, q. 75, a. 7, ad 1 et 3).
Qui san Tommaso è
preoccupato di mettere in guardia contro la tentazione di concepire la
transustanziazione sulla falsariga di un’eclissi dove, a misura che un corpo
celeste svanisce ai nostri occhi, un altro ne perde il posto. Se così avviene
per la trasformazione eucaristica questa progressiva sostituzione tra due
sostanze comprenderebbe inevitabilmente, sia pure per un breve momento, la
compresenza di entrambe, con il conseguente rischio di cadere nella teoria
della consustanziazione. Ma non è così per la presenza eucaristica. Questa
infatti si compie in un istante, che san Tommaso coerente con
l’assolutizzazione esclusiva dell’efficacia delle parole istituzionali, fa
culminare con l’ultimo istante in cui si completa la loro proclamazione.
Un’analoga riflessione
sull’istante della trasformazione eucaristica, ma interiore di vari secoli a
quella di Tommaso d’Aquino, si trova già in quell’antesignano della teoria ortodossa
che fu Babai il Grande (+ 628). Nel suo trattato di cristologia nestoriana così
egli afferma: “[…] all’invocazione del sacerdote, nella supplica sopra i
misteri della nostra salvezza, quando il sacerdote dice: ‘Venga la grazia dello
Spirito Santo e dimori sopra questo pane e sopra questo calice, e li faccia
corpo e sangue del Signore nostro Gesù Cristo’, allora, alla voce del
sacerdote, subito, in un batter d’occhio, crediamo che il
sacramento esiste, e che la grazia dello Spirito Santo dimora e porta a
pienezza i misteri della nostra salvezza, affinché siano il corpo e il sangue
di Cristo […]”.
Pur prendendo atto che la
trasformazione che la trasformazione eucaristica avviene in un istante, resta
il fatto che qui gli istanti sono due: quello cattolico delle parole
istituzionali e quello ortodosso dell’epiclesi, peraltro esclusivi l’uno
dell’altro. Rinunciando a contrapporre questi due istanti, preferiamo tentare
la via della composizione, prendendo spunto da un autorevole pronunciamento
tridentino. Nel caso nostro dovremo avvalerci, rispetto alla categoria tempo, di una considerazione analoga a
quella che, in riferimento alla categoria spazio,
il Concilio di Trento fa intervenire per spiegare i due modi della presenza di
Cristo, sempre assiso alla destra del Padre e nondimeno realmente presente sui
nostri altari (cfr DS 1636). Al
fisicista, che in nome della sua logica sarebbe tentato di ribellarsi all’idea
di due distinte presenze reali di un medesimo corpo, la fede tridentina
risponde dicendo che la categoria di spazio fisico è inadeguata per spiegare il
mistero, giacché in questo caso non si tratta di due presenze fisiche, bensì di
due diversi modi dell’unica reale presenza di Cristo: quella fisica o naturale
alla destra del Padre e quella sacramentale sui nostri altari.
Analogamente, se vogliamo
comprendere come l’efficacia assoluta delle parole della consacrazione si
componga con l’efficacia dell’epiclesi consacratoria e viceversa, dobbiamo
riconoscere che qui non si tratta di due trasformazioni successive e distinte
nel tempo, bensì di due momenti congiunti e reciprocamente ordinati dell’unica
transustanziazione. In altri termini: come la categoria di spazio fisico è
inadeguata per spiegare la modalità della presenza sacramentale, così pure la
categoria di tempo fisico è inadeguata per spiegare la produzione del corpo sacramentale.
Perciò, in analogia con
Trento, che respinge l’alternativa “o tutto in cielo o tutto sull’altare”,
diremo: non vi è alcuna contraddizione nell’affermare che il mistero della
transustanziazione si compie tutto quanto nel momento delle parole istituzionali
e tutto quanto nel momento dell’epiclesi, giacché il tempo sacramentale non è un tempo fisico, bensì è tempo meta ta physika, un tempo cioè che
sfugge alle misurazioni del cronometro. Inoltre, sempre in analogia con Trento,
di questo tempo sacramentale diremo: anche
se a stento lo possiamo esprimere con parole, tuttavia con una riflessione
illuminata dalla fede lo possiamo riconoscere come possibile a Dio, e dobbiamo
fermamente credere nella modalità operativa ad esso propria.
Fonte: Cesare Giraudo S.I., Preghiera eucaristica e teologia. Per una
soluzione della controversia sull’epiclesi, in “La Civiltà Cattolica”, n.
4017 (2/16 febbraio 2019), pp. 236-249 (qui, pp. 244-246).