Sir
27,5-8; Sal 91; 1Cor 15,54-58; Lc 6,39-45
L’inizio
del Sal 91 è un inno di lode al Signore per il suo amore e la sua fedeltà. Il
seguito del testo è, invece, occupato da un confronto tra il giusto e l’empio
davanti a Dio. Di questo confronto la liturgia odierna ci propone solo gli
ultimi versetti del salmo in cui viene tracciato il ritratto del giusto. Questi
versetti sono ripresi frequentemente dalla liturgia della Chiesa per celebrare
la gloria dei Santi. La robustezza, la fecondità e la longevità dei cedri e
delle palme, le piante più rigogliose della Palestina, sono un simbolo espressivo
della ricchezza della vita interiore degli uomini giusti.
La
liturgia odierna è un pressante invito a rientrare in se stessi per arricchire
il cuore e trasformare la propria vita in un “albero di frutti buoni”. Il breve
brano del libro del Siracide, proposto come prima lettura (Sir 27,4-7) mette in
risalto l’importanza e la funzione della parola: essa prova quanto valga una
persona e rivela i sentimenti più intimi del suo cuore. Soltanto chi ha un
cuore ricco di Dio potrà dire parole di vero amore che infondano gioia e
speranza.
Nel
brano evangelico (Lc 6,39-45) Gesù con un linguaggio semplice e concreto, a
portata di coloro che lo ascoltano, allarga il discorso e parla della vera
ricchezza dell’uomo che, radicata nel suo cuore, e si manifesta nelle sue
opere: “L’uomo buono trae fuori il bene dal buon tesoro del suo cuore”. Parole,
intenzioni, programmi, non bastano. Si richiedono i frutti, che a loro volta
rivelano la natura buona o cattiva dell’albero. Per l’uomo quello che conta è
il cuore, il centro dei suoi pensieri e delle sue scelte, dove la libertà
esprime se stessa: il cuore “è il luogo della decisione… È il luogo della
verità, là dove scegliamo la vita o la morte” (Catechismo della Chiesa Cattolica, n.2563). Quando le parole e le
opere non sono in sintonia, allora il nostro cuore è diviso. E’ l’ipocrisia di
cui parla Gesù. L’epiteto “ipocrita” nella lingua classica greca designa
l’attore che recita una parte mettendosi la maschera. Chi si comporta con la
presunzione di condannare gli altri si rivela un ipocrita, che per dissimulare
le proprie miserie si mostra zelante della perfezione altrui. Dio solo è il
giudice perché soltanto lui conosce veramente le profondità del cuore umano.
All’ipocrisia si oppone la sincerità del cuore.
In una
società, come la nostra, fondata sulla comunicazione orale, le parole non
mancano mai. Possiamo ben dire però che oggi troppe parole si vendono a buon
mercato. E’ un chiasso assordante! Si ha poi la sensazione che le parole non
hanno valore per quel che esprimono ma per come si dicono. Sembra addirittura
che abbia ragione chi grida di più. La parola è svalutata perché non è in
armonia col cuore e con la vita. La parola ritroverà tutto il suo valore a
condizione che diventi espressiva di fatti, di autentici valori di vita, e ciò
è possibile solo se la nostra parola viene ricollegata alla Parola di verità
che è Cristo. Si tratta di accogliere questa Parola nel cuore e attuarla nella
vita. E’ un impegno quotidiano del discepolo di Gesù, una fatica che, come dice
san Paolo nella seconda lettura (1Cor 15,54-58) non è vana, perché nel Signore
Gesù Cristo Dio ci dà la vittoria.