Es 3,1-8a.13-15; Sal
102; 1Cor 10,1-6.10-12; Lc 13,1-9
Nelle
domeniche III, IV e V di Quaresima, il ciclo C di letture bibliche di
quest’anno si configura come una catechesi sulla riconciliazione, tema che
trova il suo vertice nella celebrazione della Pasqua, segno supremo della
nostra riconciliazione con il Padre.
Nel
cuore della Quaresima risuona l’invito pressante alla conversione. Possiamo
illustrarlo partendo dalla prima lettura: Dio ha compassione delle sofferenze
del popolo d’Israele che vive sotto il giogo della schiavitù in Egitto. Ecco
quindi che il Signore sceglie Mosè e gli comunica che intende liberare il suo
popolo dal potere dell’Egitto per farlo uscire da questo paese verso un paese
bello e spazioso. Sappiamo il resto della storia. Israele, guidato da Mosè,
intraprende il suo grande esodo attraverso il deserto verso la terra promessa.
Nella seconda lettura, san Paolo ci ricorda che la maggior parte di coloro che
hanno lasciato l’Egitto non hanno raggiunto il traguardo della terra promessa,
perché si sono ribellati al loro Dio, ed Egli li ha puniti. Infatti liberati
dalla schiavitù e divenuti popolo eletto di Dio, gli israeliti hanno tradito
l’amicizia e la fiducia del Signore e sono tornati ad essere schiavi, questa
volta degli idoli e della loro superbia. E conclude Paolo: “tutte queste cose
accaddero a loro come esempio, e sono state scritte per nostro ammonimento”.
Infatti anche noi continuiamo,
nonostante l’amore con cui Dio ci ha salvati e seguita a circondarci, a fare
l’esperienza del peccato.
Nel
brano evangelico vediamo come Gesù interpreta due fatti di cronaca (alcuni
morti in una rivolta contro i Romani e l’improvviso crollo della torre di Siloe
che seppellisce diciotto persone). Dinanzi a simili fatti la tentazione di
sempre è quella di applicare uno schema di interpretazione abbastanza
rudimentale: un castigo di Dio e, naturalmente un castigo meritato per qualche
colpa più o meno grave. Gesù rifiuta questa interpretazione, dice infatti di
non credere che quei morti fossero più colpevoli di tutti gli abitanti di
Gerusalemme. Tuttavia Gesù non può fare a meno di mettere in evidenza ciò che
conduce a disastri ben peggiori di quelli evocati: l’indurimento del cuore, il
rifiuto di accogliere la sua Parola, l’ostinazione con cui restiamo talvolta attaccati
agli sbagli di sempre hanno come esito una situazione ben peggiore di quella
toccata alle vittime della repressione o di una sciagura imprevedibile.
In
ogni caso, la pazienza di Dio, la sua misericordia sono fuori dubbio, come
spiega la parabola con cui si conclude il brano. La parabola parla del fico che
non porta frutto e che si vorrebbe tagliare, ma che invece viene lasciato con
la speranza di una maturazione ulteriore. Con questa parabola, Gesù non si
propone di indicare i limiti della misericordia di Dio, ma di affermare con
assoluta chiarezza che egli, nella sua bontà, accorda a tutti il tempo per
accogliere il suo invito alla conversione; è un messaggio di consolazione e un
invito a non ritardare il tempo per portare frutti degni di conversione.
La
conversione è uno dei punti nodali della predicazione di Gesù, e quindi un
elemento costitutivo e costante dell’esistenza cristiana: anzi, si può ben dire
che l’esistenza cristiana trae origine dalla conversione e si sviluppa
attraverso un continuo cammino di conversione, che la Quaresima esprime in modo
simbolico come tempo di preparazione alla Pasqua. Ricordiamo però che la
conversione diventa effettiva solo se la nostra vita cambia, se la parola di
Dio, ascoltata e accolta, diventa in noi comportamento di vita.