Nel servizio religioso non si deve evitare soltanto il
linguaggio sacro impettito,
altisonante, ma anche il gergo della strada, le
smancerie intellettuali e la boria modernistica. Qui il linguaggio deve essere
sobrio e insieme commovente, tale da esprimere l’esperienza della comunità
orante alla presenza di Dio. Ciò può avvenire, a seconda del tempo, del luogo e
della situazione, in base a un valido formulario prestabilito o mediante la
preghiera libera. Entrambi i modi possono essere utili. Milioni di persone
dicono il Padre nostro, e ciascuna vi
immette quanto le è più proprio. Il Kyrie,
il Gloria, il Sanctus della messa romana rendono possibili stati d’animo comuni e
possono raggiungere un’attualità e risonanza, che manca a certi testi
spontanei. In alcune ore il singolo è felice di servirsi di preghiere già
formulate come la comunità di servirsi di preghiere spontanee. In ogni caso nel
servizio religioso della comunità non deve venire vietata la preghiera libera,
spontanea, e ciò pienamente nel senso di Paolo, che alla comunità della greca
Tessalonica scriveva: “Non spegnete lo Spirito, non disprezzate le profezie,
esaminate ogni cosa, tenete ciò che è buono” (1Ts 5,19-21).
Le preghiere libere e tradizionali possono perciò
fecondarsi reciprocamente, e in un buon servizio religioso staranno
indubbiamente entrambe in un giusto rapporto.
Fonte: Hans Küng, La
preghiera e il problema di Dio, Morcelliana Brescia 2018, p. 66.