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domenica 10 marzo 2019

QUALE LINGUAGGIO NELLA LITURGIA?






Nel servizio religioso non si deve evitare soltanto il linguaggio sacro impettito, 
altisonante, ma anche il gergo della strada, le smancerie intellettuali e la boria modernistica. Qui il linguaggio deve essere sobrio e insieme commovente, tale da esprimere l’esperienza della comunità orante alla presenza di Dio. Ciò può avvenire, a seconda del tempo, del luogo e della situazione, in base a un valido formulario prestabilito o mediante la preghiera libera. Entrambi i modi possono essere utili. Milioni di persone dicono il Padre nostro, e ciascuna vi immette quanto le è più proprio. Il Kyrie, il Gloria, il Sanctus della messa romana rendono possibili stati d’animo comuni e possono raggiungere un’attualità e risonanza, che manca a certi testi spontanei. In alcune ore il singolo è felice di servirsi di preghiere già formulate come la comunità di servirsi di preghiere spontanee. In ogni caso nel servizio religioso della comunità non deve venire vietata la preghiera libera, spontanea, e ciò pienamente nel senso di Paolo, che alla comunità della greca Tessalonica scriveva: “Non spegnete lo Spirito, non disprezzate le profezie, esaminate ogni cosa, tenete ciò che è buono” (1Ts 5,19-21).

Le preghiere libere e tradizionali possono perciò fecondarsi reciprocamente, e in un buon servizio religioso staranno indubbiamente entrambe in un giusto rapporto.



Fonte: Hans Küng, La preghiera e il problema di Dio, Morcelliana Brescia 2018, p. 66.