IL MISTERO
Viviamo in un
mondo troppo pieno, troppo veloce. Dove ogni momento è saturo e ogni luogo
connesso. Senza silenzio, senza vuoto. Senza vie d’uscita. Eppure, al di là
delle pretese del tempo che viviamo di riempire tutto ciò che sta attorno a noi
(e in noi), con la presunzione di colmare ogni attesa, l’uomo contemporaneo si
sente ancora interrogato da una mancanza. Da un vuoto che non è angosciante ma
creativo e promettente. Da un’essenziale inquietudine che è anche un’apertura.
Lo dice bene il poeta fiorentino Mario Luzi: “Di che è mancanza questa
mancanza, cuore, che ad un tratto ne sei pieno?”
Non dunque “l’uomo
misura di tutte le cose”. Ma la dismisura come misura dell’uomo.
Etimologicamente,
contemplare (cum – templum) significa immergersi in uno spazio libero e
vasto. È il modo che l’uomo ha imparato per lasciarsi interrogare da quella
mancanza di cui siamo fatti. Che non è semplice carenza da riempire, ma
desiderio di ulteriorità e capacità di eccedenza. Un desiderio che non possiamo
colmare da soli.
Lucan associa
il desiderio allo sconcerto. A una sorpresa che insieme sconvolge e riattiva la
vita. Così, attraversare la mancanza, non solo come inquietudine, ma anche come
mistero e grazia, significa essere custodi della trascendenza, come condizione
per tenere insieme la mancanza con la pienezza, il limite con l’eccedenza, il
visibile con l’invisibile, la realtà particolare con la sua proiezione
universale.
Fonte: Chiara
Giaccardi – Mauro Magatti, La scommessa cattolica. C’è ancora un nesso tra
il destino delle nostre società e le vicende del cristianesimo?, Il Mulino,
Bologna 2019, pp.139-140.