Il linguaggio liturgico è
codificato e disciplinato dai libri liturgici, sottratto cioè al sentire del
momento e della moda mutevole. Tuttavia non è asettico né anonimo. E’ come uno
spartito di musica, preciso in ogni nota scritta, che deve essere “interpretato”
ogni volta che viene eseguito dal vivo, sapendo che l’esegesi del mistero
celebrato è la vita di chi vi partecipa. E’ pertanto un linguaggio creativo pur
essendo “rituale”, ossia ripetitivo, identico a se stesso nelle preghiere, nei
gesti, nelle azioni.
Il motivo della codificazione dei contenuti si
comprende presto: è un linguaggio che non sorge dalla fantasia umana, quanto
dalla divina rivelazione. Preghiere e riti sono infatti ispirati e fondati
nella sacra Scrittura, che a sua volta è la codificazione scritta dell’incessante
dialogo che Dio intrattiene con l’umanità, di generazione in generazione. L’esigenza
sottesa al codificato linguaggio liturgico è sintetizzata nell’assioma lex
orandi – lex credendi e viceversa: non esprime infatti l’opinione di
qualcuno, ma la fede della Chiesa e la sua autentica comprensione teologica.
Che sia poi un linguaggio
disciplinato è conseguenza oggettiva di ciò che rappresenta il linguaggio liturgico.
L’agire comunitario comporta naturalmente un ordo su cosa fare, come
farlo, chi fa che cosa e quando. Non è un fare tutti la stessa cosa né a
proprio modo, ma è un unico corpo armonico a reagire nella complementarietà di
funzioni diverse: ciascuno svolge il suo ruolo e tutti partecipano attivamente.
Animata dall’inesauribile creatività dello Spirito, la liturgia è, al contempo,
disciplinata da norme che la sottraggono al disordine dell’anarchia.
Fonte: Corrado Maggioni, “Linguaggi
umani e linguaggio liturgico”, in AA.VV., La liturgia risorsa di umanità.
“Per noi uomini e per la nostra salvezza” (Bibliotheca “Ephemerides
Liturgicae” – Sectio pastoralis 39), CLV Edizioni Liturgiche, Roma 2019, pp.
96-97.