At 10,34a.37-43; Sal 117
(118); Col 3,1-4 (oppure: 1Cor 5,6b-8); Lc 24,1-12
La liturgia della domenica di
Pasqua ci ricorda che il nostro agnello pasquale è Cristo (cf. seconda lettura
alternativa, sequenza, prefazione pasquale I e antifona alla comunione); nel
mistero della sua risurrezione dai morti si compiono tutte le speranze di
salvezza dell’umanità: è questo il giorno di Cristo Signore.
La risurrezione di Cristo dai
morti rappresenta il centro del mistero cristiano, è la base e la sostanza
della nostra fede. “Se Cristo non è risorto, vuota allora è la nostra
predicazione, vuota anche la vostra fede” (1Cor 15,14). Con queste parole l’apostolo
Paolo esprime il cuore di tutto il messaggio cristiano. Il vangelo narra
l’evento storico della risurrezione di Gesù, ripensato e raccontato a scopo di
fede: Giovanni sottolinea che si tratta di una vera risurrezione, ma
l’interesse prevalente dell’evangelista sembra essere di carattere ecclesiale;
egli infatti sottolinea anzitutto l’itinerario di fede dei discepoli nel Cristo
risorto. Nella prima lettura, ascoltiamo san Pietro che annuncia con decisione
al popolo il mistero della risurrezione del Signore di cui egli e gli altri
apostoli sono testimoni. Nella seconda lettura, san Paolo trae da questo evento
le conseguenze per una vita cristiana rinnovata.
Ci possiamo soffermare
brevemente sulla seconda lettura alternativa, tratta dalla prima lettera ai Corinzi,
dove l’affermazione centrale del brano è: “Cristo, nostra Pasqua è stato
immolato!”, parole riprese poi dall’antifona alla comunione. Il prefazio
pasquale I parla di Cristo “vero Agnello che ha tolto i peccati del mondo”. La
sequenza adopera l’espressione: “vittima pasquale”, riferita sempre a Cristo, e
aggiunge: “L’agnello ha redento il suo gregge”. Nell’Antico Testamento
l’immolazione dell’agnello era l’elemento essenziale della celebrazione della
Pasqua (cf. Es 12). Il Nuovo Testamento, e particolarmente il vangelo di
Giovanni, hanno considerato l’agnello pasquale come figura di Gesù. Egli muore
sulla croce nella Paresceve, nell’ora in cui nel tempio si immolavano gli
agnelli per la celebrazione della cena pasquale. Lo stesso apostolo Giovanni nell’Apocalisse
descrive la glorificazione dell’Agnello: “L’Agnello, che è stato immolato, è
degno di ricevere potenza e ricchezza, sapienza e forza, onore, gloria e
benedizione […] A Colui che siede sul trono e all’Agnello lode, onore, gloria e
potenza, nei secoli dei secoli” (Ap 5, 12-13). L’agnello sgozzato e glorificato
è la nostra Pasqua!
Giovanni Crisostomo, parlando
dell’eucaristia, dice: “Noi offriamo sempre il medesimo Agnello, e non oggi uno
e domani un altro, ma sempre lo stesso. Per questa ragione il sacrificio è
sempre uno solo […] Anche ora noi offriamo quella vittima, che allora fu
offerta e che mai si consumerà” (Omelie
sulla Lettera agli Ebrei 17,3). Compiendo il rito pasquale gli Israeliti
sono stati partecipi, di generazione in generazione, della stessa liberazione e
salvezza sperimentata dai loro padri nella notte in cui il Signore li fece
uscire dall’Egitto. Celebrando l’eucaristia, i cristiani siamo partecipi
dell’Agnello pasquale, del “corpo donato” e del “sangue versato” di Cristo,
quale evento decisivo della liberazione di tutta l’umanità dalla forza del
peccato e dal potere della morte.
La fede nella risurrezione,
che è il cuore della fede cristiana, non coincide con una semplice fiducia
nella vita, concetto caro ad una certa cultura odierna, ma credere nella vita
che nasce dalla morte grazie alla forza dell’amore di Cristo. Essa consente di
entrare nelle situazioni di morte guardando oltre la morte e vivendo la
risurrezione, ovvero amando e cercando di amare come Cristo ha amato noi.