La Bibbia rivela
strutturalmente una duplicità: da un lato essa è comunicazione divina,
trascendente e quindi destinata a rivestire un valore assoluto e permanente;
d’altro lato, però, si presenta in una espressione umana, secondo un
linguaggio, generi letterari ed esperienze storiche profondamente connessi ad
autori legati al tempo e allo spazio.
Ecco, allora, la necessità di
codificare regole per una corretta interpretazione della Scrittura che
salvaguardi quella duplicità, la quale non è solo compatta nel testo sacro ma è
anche fondamentale per la stessa realtà della rivelazione biblica che è analoga
all’Incarnazione. Infatti come il Verbo, Parola eterna e perfetta di Dio, si fa
carne in Gesù, secondo l’asserto del vangelo di Giovanni (Gv 1,3.14), così
anche la Bibbia è Parola divina, “che permane in eterno”, incarnata in parole
ed eventi umani che sono storici e contingenti.
[…]
La moderna ermeneutica ricorre
a una strumentazione sofisticata elaborata col contributo delle discipline
filosofiche, storico-critiche, linguistiche e teologiche. Essa, comunque, dà
rilievo ad un duplice movimento. Da un lato, opera un percorso centripeto,
risalendo alle radici del testo per una sua piena comprensione. D’altro lato,
però, una sorta di movimento centrifugo, riporta il testo all’orizzonte del
lettore odierno, così da ritrascriverne e far rivivere in pienezza il messaggio
originario secondo le nuove coordinate storico-culturali e, per il credente, secondo
le istanze esistenziali della sua fede.
Fonte: Gianfranco Ravasi, La
santa violenza (Intersezioni 530), il Mulino, Bologna 2019, pp. 122-125,