Ho letto con attenzione una
“meditazione” del card. Robert Sarah su “Covid-19 e il culto cristiano”: https://www.hommenouveau.fr/3199/religion/exclu---covid-19-et-culte-chretien--br-une-lettre-du-cardinal-sarah.htm
Apprezzo, come sempre ho
fatto, l’interesse e l’amore che il card. Sarah dimostra per la liturgia e per la
sua retta celebrazione. Pur non entrando nel merito del contenuto di questa
lunga lettera/meditazione, ultima fatica del cardinale, vorrei esprimere,
rispettosamente e con parresia, alcune mie perplessità su alcune affermazioni
ivi contenute.
Il card. Sarah esalta il
carattere “sacro” della chiesa come luogo di culto e lamenta la sfilata di
turisti che si muovono frequentemente senza rispetto nel “Tempio santo del Dio
vivente”. Vorrei ricordare, con san Paolo, che anzitutto “noi siamo il tempio
del Dio vivente” (2Cor 6,16). Lo ricordava anche papa Francesco nell’Udienza
Generale del 26 giugno 2013, commentando Ef 2,20-22: “Questa è una cosa bella! Noi siamo le pietre vive
dell’edificio di Dio, unite profondamente a Cristo, che è la pietra di
sostegno, e anche di sostegno tra noi. Cosa vuol dire questo? Vuol dire che il
tempio siamo noi, noi siamo la Chiesa vivente, il tempio vivente e quando siamo
insieme tra di noi c’è anche lo Spirito Santo, che ci aiuta a crescere come
Chiesa. Noi non siamo isolati, ma siamo popolo di Dio: questa è la Chiesa!” L’attenzione
per il sacro, che permea l’intero testo del cardinale, dovrebbe centrarsi
anzitutto nell’assemblea celebrante di cui, come diremo più avanti, il
porporato crede si possa far a meno.
In
seguito, si afferma giustamente, citando SC 33, che la liturgia è
“principalmente culto della maestà divina” e, in questo contesto, è criticata
la tendenza della mentalità occidentale contemporanea ad esaltare la dimensione
pedagogica della liturgia. Noto che il testo di SC 33, citato dal cardinale, si
esprime in questi termini: “La sacra liturgia, benché sia principalmente culto
della maestà divina, è anche una ricca fonte di istruzione per il popolo fedele…”
SC cita qui in nota il Concilio di Trento. Non va sottovalutato quindi il fatto
che la liturgia propone e sviluppa un’autentica pedagogia della fede.
In
questa visione della liturgia, si arriva a dire addirittura che in tempo di
Covid-19 “molti sacerdoti hanno scoperto la celebrazione [dell’eucaristia]
senza la presenza del popolo. In questo modo, essi hanno sperimentato che la
liturgia è principalmente e anzitutto il culto della divina maestà […]
Celebrando soli non hanno avuto più sotto gli occhi il popolo cristiano, e così
hanno preso coscienza che la celebrazione della messa si indirizza sempre al
Dio Trinità”. Mi meraviglia questa esaltazione della celebrazione eucaristica
senza la presenza del popolo, in modo che ciò che è un caso eccezionale, e come
tale regolato dall’Ordinamento generale del Messale Romano (cf. n. 254),
diventa in qualche modo occasione propizia per sperimentare che la liturgia è
anzitutto il culto della divina maestà. La sinassi eucaristica, che “è il
centro della comunità dei fedeli presieduta dal presbitero” (PO n. 5), non può
diventare una “devozione privata” del presbitero. “Le azioni liturgiche non
sono azioni private, ma celebrazioni della Chiesa, che è ‘sacramento di unità’,
cioè popolo santo radunato e ordinato sotto la guida dei vescovi” (SC n. 26). Noto
che il
Catechismo della Chiesa Cattolica tra i nomi dati all’eucaristia cita
quello di “Assemblea eucaristica [“synaxis”], in quanto l’eucaristia
viene celebrata nell’assemblea dei fedeli, espressione visibile della Chiesa”
(n. 1329). Il servizio dei ministri non va inteso separato o al di sopra di
quello dell’intera assemblea, ma va compreso in una visione unitaria e globale:
nella Chiesa riunita che celebra, ciascuno interviene secondo ruoli diversi
(cf. 1Cor 12, 4-11.28-30; Rm 12,6-8). Il presbitero che ha bisogno di celebrare
da solo per capire il senso della liturgia, non ha capito il senso del suo
sacerdozio ministeriale.