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venerdì 2 ottobre 2020

DOMENICA XXVII DEL TEMPO ORDINARIO ( A ) – 4 Ottobre 2020

 


 

Is 5,1-7; Sal 79; Fil 4,6-9; Mt 21,33-43

 

Al centro dei testi biblici di questa domenica ritorna l’immagine della vigna, molto usata sia nell’Antico che nel Nuovo Testamento. Il Sal 79, salmo di lamentazione, è una specie di autobiografia di Israele nel momento in cui sente venir meno la luce del volto di Dio, fonte di luce e di speranza. Israele vuole ritornare ad essere la vigna di Dio, curata con premura dal grande vignaiolo. Ora invece, priva di difesa, è territorio di libera caccia e di preda. Alla fine del salmo, la supplica diventa pressante e piena di speranza: “... Signore, Dio degli eserciti, fa che ritorniamo, fa’ splendere il tuo volto e noi saremo salvi”. Anche noi, nonostante tutte le nostre infedeltà, continuiamo ad essere quella vigna per la quale Dio ha compiuto meraviglie.

 

L’immagine della vigna, sia nella prima lettura che nella parabola del vangelo, si riferisce al popolo d’Israele ed esprime un giudizio di sofferenza su un popolo molto amato, ma che ha deluso e tradito l’amore del proprio Dio. Il profeta Isaia, vissuto all’epoca nella quale, probabilmente, fu composto il salmo responsoriale, pare dare una risposta agli interrogativi posti dal salmista a Dio sulla sua vigna d’Israele. Il testo profetico è un rimprovero a un popolo che si accontenta di una religiosità superficiale, ma non preoccupato di andare oltre le pratiche del tempio per portare frutti nel contesto di una vita sociale segnata da maggior senso della giustizia e moralità nelle relazioni umane, in conformità al patto di alleanza che lega Dio al suo popolo. Tra Dio e il suo popolo non c’è solo un rapporto di possesso (proprietario e proprietà), ma anche e soprattutto un rapporto di amore; la vigna assume i caratteri della persona umana.

 

L’oscura minaccia, presente nell’allegoria della vigna, trova il suo definitivo riscontro al tempo di Gesù e si concretizza come passaggio della vigna, e cioè del regno di Dio, alle nazioni pagane. Il fallimento del popolo dell’antica alleanza non arresta il piano di Dio: esso continua presso tutti coloro che sono disponibili alla fede, pronti ad accogliere e vivere la parola di Dio. La parabola della vigna contiene un severo ammonimento anche per noi cristiani. Un motivo ricorrente nel vangelo di san Matteo è quello di “portare frutti” (Mt 3,8.10; 7,16-20; 12,33; ecc.). L’appartenenza al Regno non è un privilegio formale, ma un dovere, che impegna a professare con le opere la fede nel Signore Gesù. Ciò che abbiamo appartiene a Dio e ci è affidato in gestione; ma Dio appare talvolta lontano, tanto lontano che ci sembra di poter decidere della nostra vita senza fare i conti con lui. Riferendosi ai brani della Scrittura proclamati oggi (Is 5 e Mt 21), il Catechismo della Chiesa Cattolica afferma: “La Chiesa è stata piantata dal celeste Agricoltore come vigna scelta. Cristo è la vera Vite, che dà vita e fecondità ai tralci, cioè a noi, che per mezzo della Chiesa rimaniamo in lui e senza di lui nulla possiamo fare” (n. 755).

 

Da quanto detto si deduce che se noi meditiamo questi brani della Scrittura non è tanto per accusare l’antico popolo d’Israele, quanto per prendere coscienza della propria responsabilità ed aprire il proprio cuore al progetto di Dio sulla storia manifestatosi in Gesù Cristo. Nella seconda lettura, anche oggi come nella domenica scorsa, siamo invitati da san Paolo, che non è solo un maestro di dottrina ma un testimone di ciò che insegna, alla coerenza tra il pensare e l’agire e a non dimenticare il suo esempio: “Le cose che avete imparato, ricevuto, ascoltato e veduto in me, mettetele in pratica”. Facendo in questo modo, aggiunge l’Apostolo, “il Dio della pace sarà con voi”.