La Costituzione Sacrosanctum Concilium, nel dettare le norme
generali per la riforma della liturgia, determina tra l’altro nel n. 23 che “le
nuove forme in qualche modo scaturiscano organicamente da quelle già
esistenti”. Lo studioso però si imbatte non di rado in processi storici in cui
questo criterio non è stato osservato. Ecco un esempio: La prassi rituale della
comunione eucaristica ha conosciuto nel corso della storia importanti
cambiamenti in dipendenza da diverse visioni teologiche dell’Eucaristia, a loro
volta condizionate dalla stessa prassi liturgica.
Dalla partecipazione generalizzata alla comunione eucaristica nell’età
antica, fino al IV secolo, si passa progressivamente a una diserzione diffusa
nell’età medievale. In Gallia all’inizio del secolo VI il Sinodo di Agde (506)
prescrive la comunione almeno tre volte l’anno, cioè a Natale, Pasqua e
Pentecoste. Sei secoli dopo, nel 1215 il Concilio Lateranense IV prescrive la
comunione annuale almeno a Pasqua. Queste norme sono sintomo di una rarefazione
sempre più diffusa della comunione sacramentale. Nel secolo XII, per via delle
controversie eucaristiche si pone una particolare enfasi sulla presenza reale
di Cristo nelle specie consacrate e nei fedeli si sviluppa il desiderio
cosiddetto di “vedere l’ostia”. Parallelamente cresce la pratica del culto
eucaristico fuori della messa: esposizione del pane consacrato, processioni…
Possiamo affermare che aumenta la devozione eucaristica ma non la comunione
sacramentale. Praticamente questa situazione si protrae fino al secolo XX.
Dalla comunione al pane e al calice si giunge a ricevere la sola “specie”
del pane, che comincia a prevalere alla fine del sec. XII, per motivi pratici e
di rispetto. Nel secolo XIII san Tommaso d’Aquino offre una base dottrinale a
questo uso con la dottrina della concomitanza (Summa Theologica III, q.
76, a. 2). Le critiche degli Orientali alla comunione sotto la sola specie del
pane, considerata contraria al Vangelo (cf. Gv 6,53) e alla tradizione
ecclesiastica, provoca l’intervento nel 1415 del Concilio di Costanza che
proibìsce ai sacerdoti, sotto pena di scomunica, di dare ai fedeli la comunione
sotto le due specie. Ancora all’inizio del XX secolo, il Diritto Canonico del
1917 nel can. 852 si esprime tassativamente in questi termini: “Sanctissima
Eucharistia sub sola specie panis praebeatur”.
Dall’unico pane spezzato si passa dal sec. IX/X in poi alle singole ostie
già divise in particole e l’importante rito della frazione diventa irrilevante.
Nella stessa epoca, dalla comunione nel corso della celebrazione eucaristica si
arriva alla comunione immediatamente prima o dopo la messa e, in seguito, al di
fuori della messa come atto rituale autonomo.
Un percorso storico tutt’altro che lineare e organico.