Papa Francesco con la Lettera
Apostolica Desiderio desideravi sulla formazione liturgica del popolo di
Dio (29 giugno 2022), ci ha offerto un documento di profonda dottrina e
spiritualità. Dopo una prima lettura, vorrei far partecipi i lettori del blog
di alcune delle mie impressioni ripercorrendo le diverse parti del testo.
Basta guardare le 24 note
citate lungo il testo per capirne lo stile. Il documento più citato è il
Messale Romano, poi Romano Guardini e, infine, i grandi Padri della Chiesa
latina: Agostino, Leone Magno, Ireneo di Lione. Come da molti augurato, il Papa
ci introduce nell’ “uso” della liturgia, l’unico modo per evitare gli abusi.
La Lettera fa seguito al Motu
proprio Traditionis custodes e intende offrire alcuni spunti di
riflessione per contemplare la bellezza e la verità del celebrare cristiano.
La liturgia è l’ “oggi” della
storia della salvezza, il cui centro è la Pasqua di morte e
risurrezione. Nell’Eucaristia e in tutti i sacramenti ci viene garantita la
possibilità di incontrare il Signore Gesù e di essere raggiunti dalla potenza
della sua Pasqua. Il nostro primo incontro con la sua Pasqua è il nostro
battesimo: in perfetta continuità con l’incarnazione, ci viene data la
possibilità, in forza della presenza e dell’azione dello Spirito, di morire e
di risorgere in Cristo. Senza l’incorporazione a Cristo non vi è la possibilità
di vivere la pienezza del culto a Dio.
La liturgia è l’antidoto al
veleno della mondanità spirituale. La liturgia ci prende per mano, insieme,
come assemblea, per condurci dentro il mistero che la Parola e i segni
sacramentai ci rivelano. La liturgia non ha nulla a che vedere con un moralismo
ascetico: è il dono della Pasqua del Signore che, accolto con docilità, fa
nuova la nostra vita.
La continua riscoperta della
bellezza della liturgia non è la ricerca di un estetismo rituale. L’incontro
con Dio non è frutto di una individuale ricerca interiore di Lui ma è un evento
donato. La bellezza, come la verità, genera sempre stupore e quando sono
riferite al mistero di Dio, porta all’adorazione.
La questione fondamentale è
come recuperare la capacità di vivere in pienezza l’azione liturgica. L’uomo
moderno ha perso la capacità di confrontarsi con l’agire simbolico che è tratto
essenziale dell’atto liturgico. Sarebbe banale leggere le tensioni, purtroppo
presenti attorno alla celebrazione, come una semplice divergenza tra diverse
sensibilità nei confronti di una forma rituale. La problematica è anzitutto ecclesiologica.
Stupisce che un cattolico non accolga la riforma liturgica che esprime la
realtà della liturgia in intima connessione con la visione di Chiesa descritta
dalla Lumen Gentium. La non accoglienza, come pure una superficiale
comprensione, rendono urgente una serie e vitale formazione liturgica. Come
affermava Guardini, senza formazione liturgica “le riforme nel rito e nel testo
non aiutano molto”.
Bisogna distinguere due
aspetti: la formazione alla liturgia e la formazione dalla liturgia. Il primo e
funzionale al secondo che è essenziale. Ricordiamoci sempre che è la Chiesa,
Corpo di Cristo, il soggetto celebrante, non solo il sacerdote. Una
impostazione liturgico-sapienziale della formazione teologica nei seminari
avrebbe certamente anche effetti positivi nell’azione pastorale.
Secondo Guardini, il primo
compito della formazione liturgica è far sì che “l’uomo diventi nuovamente
capace di simboli”. Il compito non è facile perché l’uomo moderno è diventato
analfabeta, non sa più leggere i simboli. Ogni simbolo è nello stesso tempo
potente e fragile: se non viene rispettato, se non viene trattato per quello
che è, si infrange, perde la forza, diventa insignificante. La lettura
simbolica non è un fatto di conoscenza mentale ma è esperienza vitale.
Un modo per crescere nella
comprensione vitale dei simboli della liturgia è curare l’arte del celebrare. Il
rito è per se stesso norma e la norma non è mai fine a se stessa, ma sempre a
servizio della realtà più alta che vuole custodire. Come ogni arte, richiede
diverse conoscenze: la comprensione del dinamismo che descrive la liturgia per non
cadere nell’esteriorismo e nel rubricismo; conoscere come lo Spirito agisce in
ogni celebrazione, per non cadere nel soggettivismo; conoscere le dinamiche del
linguaggio simbolico.
Sono molti i modi con i quali
l’assemblea partecipa alla celebrazione. Non si tratta di dover seguire un
galateo liturgico: si tratta piuttosto di una “disciplina” – nel senso usato da
Guardini – che, se osservata con autenticità, ci forma. Tra i gesti rituali
occupa un posto importante il silenzio liturgico: è il simbolo della presenza e
dell’azione dello Spirito Santo che anima tutta l’azione celebrativa. Molto si
potrebbe dire sull’importanza e la delicatezza del presiedere: presiedere
l’Eucaristia è stare immersi nella fornace dell’amore di Dio. Chi presiede non
siede su di un trono; non ruba la centralità all’altare; non può presumere di
se stesso per il ministero a lui affidato; non può dire “prendete e mangiate
tutti: questo è il mio corpo offerto in sacrificio per voi”, e non vivere lo
stesso desiderio di offrire il proprio corpo, la propria vita per il popolo a
lui affidato.
Siamo chiamati a riscoprire la
ricchezza dei principi generali esposti nei primi numeri della Sacrsanctum
Concilium. Non possiamo ritornare a
quella forma rituale che i Padri conciliari, cum Petro e sub Petro,
hanno sentito la necessità di riformare, approvando sotto la guida dello
Spirito e secondo la loro coscienza di pastori, i principi da cui è nata la
riforma.
FONTE:
https://www.vatican.va/content/francesco/it/apost_letters/documents/20220629-lettera-ap-desiderio-desideravi.html