Si può
affermare che l’Anno liturgico è una realtà che proprio nel tempo trova il
parametro per definirsi. Appare quindi del tutto ovvio che nell’affrontare la
natura del ciclo delle celebrazioni annuali della liturgia ci si riferisca alla
categoria “tempo” come valore teologico, cioè non al tempo come tale, ma a ciò
che in esso avviene in conformità al piano salvifico di Dio e che qualifica
l’esperienza dei credenti. Così fa la Costituzione Sacrosanctum Concilium, al n.102, quando parla del senso dell’Anno
liturgico, afferma che la Chiesa nel ciclo annuale fa memoria dei misteri della
redenzione in modo da renderli presenti a tutti i tempi a beneficio dei fedeli
in attesa della beata speranza e del ritorno del Signore.
In questa descrizione
dell’Anno liturgico, vengono individuate tre dimensioni temporali: presente,
passato e futuro. Il presente della celebrazione dei misteri della redenzione (ut omni tempore quodammodo praesentia
reddantur); il passato storico di
cui si fa memoria (opus
salutiferum...sacra recordatione celebrare - mysteria redemptionis ita recolens);
il futuro atteso del compimento (ad
exspectationem beatae spei et adventus Domini). Si noti però che il passato
è presente nella memoria e il futuro lo è nell’attesa. Si potrebbe quindi
affermare, con sant’Agostino, che le tre dimensioni temporali sono sempre
dimensioni del presente: il presente del passato è la memoria, il presente del
presente la visione, il presente del futuro l’attesa. L’oggi porta con sé lo
spessore della memoria e la speranza del domani. Nell’esperienza religiosa il
presente acquista un particolare valore perché è lo spazio dove possiamo
giungere a quella soglia liminare della nostra persona attraverso la quale la
Vita fluisce, oltre la quale perciò, percepiamo un Bene che rimane, una Verità
che ci trascende, una Presenza che ci alimenta. Perciò la forma più ricca
dell’esperienza religiosa si ha quando siamo in grado di abbandonarci a questa
Presenza immergendovici totalmente.
Non ci sono due
presenti, uno divino e uno umano, come non c’è una storia umana e una storia di
salvezza; esiste un’unica storia sacra, dove il disegno di Dio trova attuazione
umana; c’è quindi un solo presente che può essere vissuto secondo dinamiche di
eternità. Vivere il presente è consentire al Presente eterno di esprimersi nel
nostro piccolo spazio temporale secondo la successione degli eventi. L’hodie dei testi della liturgia
appartiene quindi più alla sfera di Dio, alla sfera del Presente eterno, che a
quella dell’uomo storico. La celebrazione liturgica, infatti, non è tanto una
azione che parte dall’uomo verso Dio, quanto piuttosto un momento dell’azione
salvifica di Dio che si rivela e si rende presente all’uomo. È un presente
pneumatico. L’hodie è la categoria
celebrativa per eccellenza che contiene e celebra la presenza, per opera dello
Spirito, del mistero pasquale di Cristo per noi. In quanto collocata nella
storia, la singola celebrazione è qualcosa di “nuovo” rispetto a ciò che la
precede, qualcosa di unico e irripetibile rispetto a tutti gli altri eventi. In
questo “nuovo” si colloca l’azione imponderabile dello Spirito che agisce
sull’assemblea concretamente riunita in un tempo e in uno spazio specifici.
Si noti che la memoria
può essere strumentalizzata a discapito della storia. Certi riti “memoriali”
intralciano non di rado la comprensione equilibrata dei fatti storici. Pensiamo
all’abuso che della storia hanno compiuto i regimi totalitari, per distorcere o
cancellare a proprio vantaggio la memoria. L’hodie liturgico, invece, riconcilia memoria e storia. Proclamando
nel rito l’hodie dell’evento storico,
la liturgia lo sottrae ad eventuali manipolazioni della memoria: il tempo di
Gesù, infatti, anche se mantiene intatta tutta la sua pregnanza storica, ha
acquistato la funzione di un tempo primordiale fondante e permanente, che
sostiene, dà vita e vigore al presente. L’hodie
liturgico è fondato da questo evento unico e irripetibile e solo in questo
evento trova consistenza. Il rito, quindi, non è manipolazione del tempo, ma
memoriale di quel che è avvenuto una volta, espressione di fedeltà al
manifestarsi di Dio nella storia e segno di speranza nel futuro adempimento di
questo manifestarsi salvifico di Dio.
Di qui l’importanza
della Parola di Dio e, in particolare, della proclamazione del Vangelo, nella
celebrazione liturgica. L’espressione in
illo tempore, presente nelle pericopi evangeliche proclamate dalla
liturgia, non esprime alcun ricordo storico di qualcosa di passato, ma ha la
capacità di dischiudere il tempo e di rendersi presente in ogni momento. La
celebrazione è il punto di incontro tra l’esperienza religiosa, che si basa
sull’evento fondante, e il linguaggio simbolico, che rivela quell’evento e ne
mantiene il senso lungo la storia. Non si ripete il tempo salvifico di un determinato
evento storico, ma è l’uomo, vivente all’interno delle leggi dello spazio e del
tempo, che si ripete entrando in comunicazione con ciò che permane quale
perenne presente dietro il tempo che fugge: l’invito di Dio alla salvezza. Dietro
a tutti gli avvenimenti, che la Scrittura racconta, c’è il vivo fluire della
corrente della vita divina, che non conosce interruzione alcuna. Nel presente
di Dio, che una volta ha salvato, quel che la liturgia celebra diventa “oggi”
presente.