Gen 12,1-4a; Sal 32 (33); 2Tm 1,8b-10; Mt
17,1-9.
La
Bibbia non vede l’universo come semplice “natura” ma come realtà “creata”, e la
storia non la considera come ineluttabile “destino” ma come “progetto” di Dio
in cui l’uomo è chiamato a collaborare. Dio è fedele alle sue promesse. Chi
confida in lui non deve temere il caos, perché “egli è nostro aiuto e nostro scudo”.
Perciò il ritornello del salmo reponsoriale ci invita a ripetere: “Donaci,
Signore, il tuo amore: in te speriamo”. Nel cammino di conversione iniziato con
la Quaresima, questo salmo ci esorta ad aprire il cuore alla speranza fondata
sulla certezza che Dio è con noi per confortare i nostri passi incerti e timorosi
sulla strada del vangelo di Gesù e liberarci da tutto ciò che conduce alla
morte.
La
prima lettura ci propone la figura del patriarca Abramo, chiamato da san Paolo
“padre di tutti i credenti” (Rm 4,11). Il Signore si rivolge al santo patriarca
e gli dice: “Vattene dalla tua terra, dalla tua parentela e dalla casa di tuo
padre, verso la terra che io ti indicherò...” Abramo obbedisce all’ordine
divino. Egli ha il coraggio di rompere con le proprie sicurezze per rischiare
un futuro umanamente incerto. La Lettera agli Ebrei dice che Abramo partì per
fede “senza sapere dove andava” (Eb 11,8). La forza per intraprendere questo
cammino di fede, nel quale non sono assenti le oscurità, gli viene dalla
fiducia che ha nella parola di Dio. Anche noi, come Abramo, siamo chiamati a
manifestare la nostra fiducia nel Signore sradicandoci giorno per giorno dalla
terra del nostro egoismo, dalle proprie idolatrie, per metterci sulla strada di
un’altra terra, quella indicata da Dio. Possiamo dire che è anche questo il
senso del digiuno a cui la Chiesa ci invita durante la Quaresima: siamo
chiamati a compiere dei gesti che ci liberino dalle nostre debolezze e ci
rendano più disponibili a compiere nuovi passi nel cammino della coerenza evangelica.
Il
brano del vangelo può essere interpretato nella stessa prospettiva. Domenica
scorsa abbiamo visto Gesù uscire vittorioso dalle insidie del tentatore perché
si è fidato di suo Padre, perché non ha avuto paura di sottomettere la propria
libertà, i propri progetti alla volontà e al progetto che Dio ha su di lui.
Tutto questo significa, implicitamente, per Gesù iniziare il cammino verso la
passione. L’esperienza della trasfigurazione che ci narra il vangelo è da
leggersi in questo contesto. La meta del cammino intrapreso da Gesù è la risurrezione,
di cui la trasfigurazione è anticipo, ma la strada passa attraverso l’esperienza
dolorosa della passione e della morte. Questa è la verità che Gesù intende far
capire ai tre discepoli che l’hanno accompagnato. Perciò, dopo averli resi
testimoni della gloria della trasfigurazione, Egli annuncia la sua morte e
risurrezione. Nella seconda lettura, san Paolo ci rassicura: nella vita
dobbiamo fare i conti con la sofferenza e anche con la morte, ma non sono queste
le realtà che avranno il sopravvento. Grazie a Cristo, Dio ci chiama e ci dona
l’immortalità: Cristo Gesù “ha vinto la morte e ha fatto risplendere la vita e
l’incorruttibilità...” E in un’altra
parte, lo stesso Apostolo ritiene che “le sofferenze del momento presente non
siano paragonabili alla gloria futura che sarà rivelata in noi” (Rm 8,18 – cf.
Ufficio delle letture, seconda lettura tratta dai Discorsi di san Leone Magno).
La
conversione è un cammino verso una vita rinnovata ad immagine di Cristo
risorto. In questo cammino ci guida la luce della stessa parola di Gesù, a cui il
Padre ci ha detto di ascoltare: “Questi è il mio Figlio, l’amato: ascoltatelo!”
(canto al vangelo - cf. Mc 9,7), e ci nutre l’eucaristia cibo del nostro
pellegrinaggio (cf. orazione dopo la comunione).