1Sam 16,1b.6-7.10-13; Sal 22; Ef 5,8-14; Gv 9,1-41
Il racconto della guarigione del cieco nato operata da Gesù e riportata dal brano evangelico odierno è un miracolo in due tempi caratterizzati da due incontri dell’uomo cieco con Gesù: nel primo incontro Gesù, dopo aver spalmato del fango sugli occhi del cieco, lo invia a lavarsi alla piscina di Siloe. Quegli va, si lava e torna che ci vede. L’uomo ormai guarito della cecità ha un secondo incontro con Gesù. Questo nuovo incontro è collocato alla fine di un itinerario di prove e di incomprensioni che porta il nostro uomo a riscoprire un’altra luce, quella di Cristo che egli esprime con la professione di fede: “Credo, Signore”, e con il gesto dell’adorazione: “E si prostrò dinanzi a lui”. Nel racconto di san Giovanni, il dono della vista del corpo è simbolo del dono della fede. Notiamo che nei due casi è Gesù che ha l’iniziativa: è lui che, passando, vede il cieco; ed è ancora lui che, avendo saputo che era stato cacciato dai farisei, lo incontra per guidarlo alla fede.
San
Paolo ci ricorda nella seconda lettura che non basta incontrare la luce della
fede in Cristo. Essa deve permeare la nostra vita. Se siamo stati illuminati
con la luce della fede, dobbiamo comportarci “come i figli della luce”, il cui
frutto “consiste in ogni bontà, giustizia e verità”. Si tratta di tre
dimensioni che abbracciano l’intera esistenza umana. Da parte sua, la prima
lettura, tratta dal primo libro di Samuele, illustra le caratteristiche che
deve avere il nostro sguardo di credenti. C’è modo e modo di vedere; c’è un
vedere che si ferma alla superficie delle cose e degli avvenimenti, e un vedere
che va oltre le apparenze. Nella scelta di Davide, il più piccolo dei figli di
Iesse, si manifesta il criterio della fede. Dice il Signore a Samuele: “Non
guardare al suo aspetto né alla sua alta statura. Io l’ho scartato, perché non
conta quel che vede l’uomo: infatti l’uomo vede l’apparenza, ma il Signore vede
il cuore”.
Ritornando
al brano evangelico, il racconto della guarigione miracolosa del cieco nato, ci
fa capire che la fede è un itinerario. Il cieco, come il catecumeno, arriverà
ad essa per tappe. Il progressivo avvicinarsi del cieco alla luce è in
parallelo contrasto con la progressiva cecità dei farisei. Tre volte il cieco
dichiara di non sapere (vv. 22.25.36): riconosce dunque la sua cecità. Tre
volte invece i farisei dichiarano di sapere (vv. 16.24,29): è questa pretesa di
sapere che giustifica il duro giudizio nei loro confronti (v. 41). I farisei
presumono di sé, sono chiusi nella loro verità, credono di avere già la luce:
per questo non sono aperti alla novità di Gesù.
Come
il cieco del racconto, possiamo e dobbiamo approfondire sempre di più il nostro
incontro con Cristo. Si tratta di un itinerario impegnativo. Confessare la propria
adesione a Cristo può comportare l’opposizione del mondo, come nel caso del
cieco nato, che non viene difeso neppure dai suoi parenti ed è escluso dalla
comunità. Questo itinerario laborioso e impegnativo lo si compie guidati dallo
stesso Cristo che, per primo, si rivela a noi. Illuminati dalla luce che è
Cristo, la nostra esistenza diventa luminosa e siamo capaci di interpretare le
vicende della vita con gli occhi della fede. L’eucaristia a cui partecipiamo è
“mistero della fede”. Il cammino di fede iniziato nel battesimo ci conduce
all’eucaristia, come al suo termine logico. E’ nell’eucaristia che viviamo in
pienezza il nostro incontro con Cristo e con i fratelli.