Nella
tradizione della Chiesa romana, la Quaresima ha tre aspetti fondamentali: è preparazione alla Pasqua, è un tempo penitenziale e ha anche un carattere battesimale.
Oggi
però sembra che sia rimasto in evidenza solo il primo aspetto, mentre gli altri
due non hanno più il rilievo che avevano nei primi secoli del Cristianesimo. A
quei tempi era la norma farsi battezzare da adulti, e questo avveniva nella
Veglia pasquale, dopo il lungo periodo quaresimale di preparazione con
catechesi, con digiuni e preghiere, chiamato catecumenato. L’intera comunità
cristiana accompagnava i candidati al battesimo partecipando anch’essa ai
digiuni e preghiere.
La
Quaresima era un periodo penitenziale per coloro che si riconoscevano colpevoli
di peccati gravi. Chi si dichiarava pubblicamente peccatore, confessava in
privato il suo peccato al Vescovo, e iniziava il Mercoledì delle Ceneri un percorso pubblico di penitenza che
durava l’intera Quaresima. Anche in
questo caso, la comunità cristiana era solidale con i penitenti e li sosteneva
con la preghiera.
Dopo
il concilio Vaticano II, la Chiesa ci propone di ricuperare tutti e i diversi
aspetti della Quaresima: nella Costituzione sulla sacra liturgia, al n.
109, si ricorda il duplice carattere battesimale e penitenziale di questo
periodo e si insiste su una duplice linea di “ascolto più attento della parola
di Dio” e di un impegno “più a fondo nella preghiera”. Per la prima dimensione,
quella battesimale, si raccomanda il ricupero degli elementi battesimali; per
la seconda, quella penitenziale, si insiste nel senso personale e sociale del
peccato. Nel n. 110 dello stesso documento si parla della penitenza quaresimale
che non deve essere soltanto interna e individuale, ma anche esterna e sociale.
Si raccomanda in una maniera speciale il digiuno pasquale nel venerdì e sabato
santi “in modo da giungere con cuore aperto ed esultante ai gaudi della
domenica di Risurrezione”. In questo caso, il digiuno esprime l’antico senso di
attesa del Risorto.
San Pietro Crisologo (ca. 380 – 450),
vescovo di Ravenna e dottore della Chiesa, illustra con poche parole il
rapporto che intercorre tra preghiera, digiuno ed elemosina (= misericordia)
nel modo seguente: “Ciò per cui la preghiera bussa, lo ottiene il digiuno, lo
riceve la misericordia” (Disc. 43: PL
52,320). Le tre pratiche quaresimali sono quindi strettamente collegate, una
richiama l’altra, come le tre virtù teologali di fede speranza e carità.
Possiamo affermare che la preghiera nutre la fede, l’elemosina alimenta la
carità e il digiuno accresce la speranza, orienta verso i beni definitivi.
Non c’è dubbio che è il digiuno l’elemento
costante e quindi tradizionale della prassi quaresimale. Parlare oggi di
digiuno in una società in cui molti popoli vivono nella miseria e i loro
cittadini muoiono di sete e di fame, può sembrare una provocazione. Ma anche
nella nostra vecchia Europa che, nonostante la perdurante crisi economica
continua a godere un alto livello di benessere, il digiuno quaresimale può
configurarsi come un formalismo inaridente o un moralismo ritualistico, insomma
una prasi irrilevante, forse inutile, che non sta più al passo coi tempi. Come
possiamo dare a questa prassi un senso che sia al tempo stesso tradizionale e
adatto ai tempi?
Si potrebbe praticare il digiuno nello spirito
di una contestazione radicale della società dei consumi. Questa contestazione
può esprimersi in un atteggiamento più critico e più libero nei confronti delle
molteplici seduzioni di questa società. Ad esempio, in un uso più sobrio e in
una scelta più accurata della quantità e qualità dei programmi televisivi. O
anche in una disciplina di quel registro orale che è la parola, soprattutto in
culture loquaci come la nostra, dove le parole sono trattate come una materia
da consumare in vista di un’affermazione di sé dinanzi agli altri. Il nostro
mondo è incredibilmente verboso e noi siamo costantemente sommersi da parole
che hanno perso il loro significato e, quindi, la loro forza. Il cristianesimo
proclama la sacralità della parola, vero dono fatto da Dio all’uomo. È per
questa ragione che il nostro parlare è dotato di un potere tremendo, sia
positivo che negativo, ed è per questa ragione che saremo giudicati sulle nostre
parole, come dice Gesù: “Ma io vi
dico: di ogni parola vana che gli uomini diranno, dovranno rendere conto nel
giorno del giudizio” (Mt 12, 36). Ecco, quindi, che un’ascesi parallela
a quella del digiuno, e a lei complementare, può consistere nell’iniziazione al
silenzio in modo di liberarsi dal verbalismo e dalla chiacchiera e farci
riscoprire la parola come dono divino e come responsabilità nei confronti degli
altri. Il silenzio favorisce l’ascolto: nella tradizione cristiana la Quaresima
è anche, dicevamo, un tempo in cui siamo invitati ad un più assiduo ascolto
della parola di Dio. Il filosofo Epitteto diceva: “Dio ci ha dato due orecchie,
ma soltanto una bocca, proprio per ascoltare il doppio e parlare la metà”.
Si può, poi, rivalutare la pratica, confermata
dalla Bibbia e dalla prima tradizione cristiana, della “Quaresima di
condivisone” dei nostri beni, del nostro cibo, del nostro tempo e anche delle
nostre conoscenze. La Quaresima di condivisione può esprimersi pure in un gesto
di riconciliazione con i fratelli da cui ci separano idee politiche o
divergenze confessionali, che troppo spesso ci induriscono in esclusione
reciproca, odio e anche scontri violenti. Elisabetta di Ungheria, chiamata la
santa della carità, diceva ai poveri da lei beneficati: “Fale anche voi la
carità”. A loro che le rispondevano: “Ma come fare, se siamo poveri?”, la santa
regina replicava: “Non è sempre comandato di aprire le borse; è sempre
comandato di aprire il cuore, e quando non abbiamo denaro, possiamo sempre
avere un cuore per compatire i bisognosi, due occhi per vederli, due orecchi
per ascoltarli, due piedi per visitarli, due mani per servirli, una lingua per
consolarli, incoraggiarli, istruirli, esortarli, correggerli…” Sono alcuni
esempi di un digiuno che sta al passo con i tempi. È stato detto che la castità
vale quel che vale l’amore in nome del quale viene serbata. Si potrebbe dire la
stessa cosa del digiuno: il digiuno può essere vissuto con autenticità solo in
un contesto di comunione. Ridurre il digiuno quaresimale alla consumazione di
un pasto più sobrio o all’astinenza della carne il Mercoledì delle Ceneri e i venerdì
quaresimali, non basta. Il rapporto con il cibo di chi digiuna può essere
pienamente compreso solo se oltrepassa, se va oltre la funzione biologica del
cibo stesso. Bisogna domandarsi perché molti mettono con facilità in pratica i
consigli del medico e considerano sorpassate le concezioni religiose in
materia. Se il digiuno lo propone il prete, è una imposizione anacronistica. Se
è il dietologo a proporlo, è legge sacrosanta da osservare quotidianamente con
scrupolosità e con controlli periodici. Se la cuoca prepara una bistecca, tutti
sbuffano: uffa… la solita carne! Se la Chiesa dice è venerdì di Quaresima: c’è
astinenza dalla carne; magari ci viene voglia di bistecca.