Roma,
16 novembre 1998
Eminenza Reverendissima,
Mi perdoni se ardisco di scrivere questa lettera. Lo faccio
con semplicità, e anche con grande sincerità. Sono professore di liturgia al
Pontificio Istituto Liturgico di S. Anselmo e alla Facoltà di Teologia della
Pontificia Università Lateranense nonché Consultore della Congregazione per il
Culto Divino. Ho letto la Conferenza che Lei ha tenuto poco tempo fa con
occasione dei “Dix ans du Motu Proprio ‘Ecclesia Dei’”. Confesso che il suo
contenuto mi ha lasciato profondamente perplesso. Mi hanno colpito, in
particolare, le risposte che Lei dà alle obiezioni fatte da coloro che non
approvano “l’attaccamento all’antica liturgia”. È su queste che vorrei
soffermarmi in questa lettera che Le invio.
L’accusa
di disobbedienza al Vaticano II viene respinta dicendo che il Concilio non ha
riformato esso stesso i libri liturgici, ma ha semplicemente ordinato la loro
revisione. Verissimo! e l’affermazione non può essere contraddetta. Le faccio
notare però che neppure il Concilio di Trento ha riformato i libri liturgici,
avendo dato solo dei principi molto generali al riguardo. La riforma come tale,
il Concilio l’ha demandata al papa, e Pio V e i suoi successori l’hanno
fedelmente attuata.
Non riesco a capire, poi, come i principi del
Concilio Vaticano II concernenti la riforma della messa presenti nella Sacrosanctum Concilium, nn.47-58 (quindi
non solo i nn. 34-36 da Lei citati) possano andare d’accordo con il ripristino
della cosiddetta messa tridentina. Se prendiamo inoltre per buona
l’affermazione del Cardinale Newman da Lei ricordata, e cioè che la Chiesa non
ha mai abolito o proibito “forme liturgiche ortodosse”, allora mi domando se,
ad esempio, i notevoli cambiamenti introdotti da Pio X nel salterio romano o da
Pio XII nella Settimana Santa abbiano o meno abolito gli antichi ordinamenti
tridentini. Il suddetto principio potrebbe indurre alcuni, ad esempio in
Spagna, a pensare che è permesso celebrare l’antico rito ispano - visigotico,
ortodosso e rimesso a nuovo dopo il Vaticano II. Parlare poi del rito
tridentino come diverso dal rito del Vaticano II non mi sembra esatto, anzi
direi che è contrario alla nozione stessa di ciò che s’intende qui per rito.
Sia il rito tridentino che quello attuale sono un solo rito: il rito romano, in
due diverse fasi della sua storia.
La seconda obiezione che si fa è che il ritorno all’antica
liturgia rischia di rompere l’unità della Chiesa. Questa obiezione viene
affrontata da Lei distinguendo tra l’aspetto teologico e pratico del problema.
Posso condividere molte delle considerazioni che Lei fa a questo proposito,
eccetto alcuni dati storicamente non sostenibili, come ad esempio
l’affermazione che fino al Concilio di Trento esistevano i riti mozarabico di
Toledo e altri, da esso soppressi. Il rito mozarabico, infatti, era stato
soppresso già da Gregorio VII con esclusione di Toledo, dove rimane in vigore.
Il rito ambrosiano, da parte sua, non è stato mai soppresso. Ciò che al
riguardo non riesco a capire è che si dimentichi quanto Paolo VI afferma nella
Costituzione apostolica del 3.4.1969, con cui promulga il nuovo Messale, e
cioè: “...confidiamo che questo Messale sarà accolto dai fedeli come mezzo per
testimoniare e affermare l’unità di tutti, e che per mezzo di esso, in tanta
varietà di lingue, salirà al Padre celeste... una sola e identica preghiera”.
Paolo VI vuole quindi che l’uso del nuovo Messale sia espressione di unità
della Chiesa; e aggiunge poi concludendo: “Quanto abbiamo qui stabilito e
ordinato vogliamo che rimanga valido ed efficace, ora e in futuro, nonostante
quanto vi possa essere di contrario nelle Costituzioni e negli Ordinamenti
Apostolici dei nostri predecessori e in altre disposizioni, anche degne di
particolare menzione e deroga”.
Conosco
le sottili distinzioni avanzate da alcuni giuristi o ritenuti tali. Credo però
che si tratti semplicemente di “sottigliezze” che, in quanto tali, non meritano
grande attenzione. Si potrebbero citare diversi documenti in cui si dimostra
chiaramente la volontà di Paolo VI al riguardo. Ricordo solo la lettera che
l’11 ottobre 1975 il Card. J. Villot scriveva a Mons. Coffy, presidente della Commissione episcopale francese
di liturgia e di pastorale sacramentaria (Segreteria di Stato n.287608), in cui
diceva tra l’altro: “Par la Constitution Missale
Romanum, le Pape prescrit, comme vous le savez, que le nouveau Missel doit
remplacer l’ancien, nonobstant les Constitutions et Ordonnances apostoliques de
ses prédécesseurs, y compris par conséquent toutes les dispostions figurant
dans la Constitution Quo Primum et
qui permettrait de conserver l’ancien missel [...] Bref, comme dit la
Constitution Missale Romanum, c’est
dans le nouveau Missel romain et nulle part ailleurs que les catholiques de
rite romain doivent chercher le signe et l’instrument de l’unité mutuelle de
tous...”
Eminenza, come professore di
liturgia io mi trovo a insegnare delle cose che mi sembrano diverse da quelle
da Lei espresse nella conferenza suddetta. E credo di dover continuare su
questa strada in obbedienza al magistero pontificio. Lamento anch’io gli
eccessi con cui alcuni dopo il Concilio hanno celebrato o celebrano ancora la
liturgia riformata. Ma non riesco a capire perché alcuni Eminentissimi
Cardinali, non solo Lei, abbiano creduto opportuno porvi rimedio mettendo “di
fatto” in discussione una riforma approvata dopo tutto dal sommo pontefice
Paolo VI e aprendo sempre di più le porte all’uso dell’antico Messale di Pio V.
Con umiltà, ma anche con parresia apostolica, sento il bisogno di affermare la
mia contrarietà a simili orientamenti. Ho preferito dire apertamente ciò che
molti liturgisti e non, che ci sentiamo figli obbedienti della Chiesa, diciamo
nei corridoi degli Atenei romani.
Suo dev.mo in Cristo
Matias
Augé cmf
__________________________________
Em.za Rev.ma Cardinale Joseph
Ratzinger
Prefetto della Congregazione
della Fede
CITTA’ DEL VATICANO
Joseph
Cardinal Ratzinger
18 febbraio 1999
Reverendo Padre
P. Prof. Matias Augé, CMF
Istituto
“Claretianum”
L.go Lorenzo Mossa, 4
00165 Roma
Reverendo Padre,
ho letto con attenzione la Sua
lettera del 16 novembre u.s., nella quale Lei ha formulato alcune critiche alla
Conferenza da me tenuta il giorno 24 ottobre 1998, in occasione del 10o
anniversario del Motu proprio “Ecclesia Dei”.
Capisco che Lei non condivida
le mie opinioni sulla riforma liturgica, la sua attuazione, e la crisi che
deriva da talune tendenze in essa nascoste, come la desacralizzazione.
Mi sembra, però, che la sua
critica non prenda in considerazione due punti:
1. è il Sommo Pontefice
Giovanni Paolo II che ha concesso, con l’Indulto del 1984, l’uso della liturgia
anteriore alla riforma paolina, sotto certe condizioni; in seguito, lo stesso
Pontefice ha pubblicato, nel 1988, il Motu proprio “Ecclesia Dei”, che
manifesta la sua volontà di andare incontro ai fedeli, che si sentono attaccati
a certe forme della liturgia latina anteriore, e pertanto chiede ai vescovi di
concedere “in modo ampio e generoso” l’uso dei libri liturgici del 1962.
2. una parte non piccola dei
fedeli cattolici, anzitutto di lingua francese, inglese e tedesca, rimangono
fortemente attaccati alla liturgia antica, e il Sommo Pontefice non intende
ripetere nei loro confronti ciò che era accaduto nel 1970, dove si imponeva la
nuova liturgia in maniera estremamente brusca, con un tempo di passaggio di
soli 6 mesi, mentre il prestigioso Istituto liturgico di Treviri, infatti, per
tale questione, che tocca in maniera così viva il nervo della fede, giustamente
aveva pensato ad un tempo di 10 anni, se non sbaglio.
Sono dunque questi due punti,
cioè l’autorità del Sommo Pontefice regnante e il suo atteggiamento pastorale e
rispettoso verso i fedeli tradizionalisti, che sarebbero da prendere in
considerazione.
Mi permetta, pertanto, di
aggiungere alcune risposte alle Sue critiche circa il mio intervento.
1. Quanto al Concilio di
Trento non ho mai detto che esso avrebbe riformato i libri liturgici, al
contrario ho sempre sottolineato che la riforma postridentina, situandosi
pienamente nella continuità della storia della liturgia, non ha voluto abolire
le altre liturgie latine ortodosse (i cui testi esistevano da più di 200 anni)
e neppure imporre una uniformità liturgica.
Quando ho detto che anche i
fedeli, che fanno uso dell’Indulto del 1984, devono seguire gli ordinamenti del
Concilio, volevo mostrare che le decisioni fondamentali del Vaticano II sono il
punto d’incontro di tutte le tendenze liturgiche e che quindi sono anche il
ponte per la riconciliazione in campo liturgico. Gli ascoltatori presenti
hanno, in realtà, capito le mie parole come un invito all’apertura al Concilio,
all’incontro con la riforma liturgica. Penso che chi difende la necessità ed il
valore della riforma, dovrebbe essere pienamente d’accordo con questo modo di
avvicinare i “tradizionalisti” al Concilio.
2. La citazione di Newman
vuole significare che l’autorità della Chiesa non ha mai abolito nella sua
storia con un mandato giuridico una liturgia ortodossa. Si è verificato invece
il fenomeno di una liturgia che scompare, e poi appartiene alla storia, non al
presente.
3. Non vorrei entrare in tutti
i dettagli della Sua lettera, anche se non sarebbe difficile rispondere alle
Sue diverse critiche dei miei argomenti. Mi sta però a cuore quello che
riguarda l’unità del Rito Romano. Questa unità oggi non è minacciata dalle piccole
comunità che fanno uso dell’Indulto e si trovano spesso trattati come lebbrosi,
come persone che fanno qualcosa di indecoroso, anzi di immorale; no, l’unità
del Rito Romano è minacciata dalla creatività selvaggia, spesso incoraggiata da
liturgisti (per esempio in Germania si fa la propaganda del progetto “Missale
2000”, dicendo, che il Messale di Paolo VI sarebbe già superato). Ripeto quanto
ho detto nel mio intervento, che la differenza tra il Messale di 1962 e la
messa fedelmente celebrata secondo il Messale di Paolo VI è molto minore che la
differenza fra le diverse applicazioni cosiddette “creative” del Messale di
Paolo VI. In questa situazione la presenza del Messale precedente può divenire
una diga contro le alterazioni della liturgia purtroppo frequenti, ed essere
così un appoggio della riforma autentica. Opporsi all’uso dell’Indulto del 1984
(1988) in nome dell’unità del Rito Romano è, secondo la mia esperienza, un
atteggiamento molto lontano dalla realtà. Del resto, mi rincresce un po’, che Lei
non abbia percepito, nel mio intervento, l’invito rivolto ai “tradizionalisti”
ad aprirsi al Concilio, a venirsi incontro verso la riconciliazione, nella
speranza di superare, col tempo, la spaccatura tra i due Messali.
Tuttavia, La ringrazio per la
Sua parresia, che mi ha permesso di discutere francamente su una realtà che ci
sta ugualmente a cuore.
Con sentimenti di gratitudine
per il lavoro che Lei svolge nella formazione dei futuri sacerdoti, La saluto
Suo
nel Signore
+
Joseph Card. Ratzinger