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venerdì 17 febbraio 2023

DOMENICA VII DEL TEMPO ORDINARIO ( A ) 19 febbraio 2023

 


 

 

Lev 19,1-2.17-18; Sal 102; 1Cor 3,16-23; Mt 5,38-48

 

 

Possiamo soffermarci sulle ultime parole del brano evangelico. Gesù afferma: “siate perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste”. Un ideale immenso che però è già proposto nell’Antico Testamento come ci ricorda la prima lettura d’oggi presa dal libro del Levitico: “Il Signore parlò a Mosè e disse: Parla a tutta la comunità degli Israeliti dicendo loro: Siate santi, perché io, il Signore, vostro Dio, sono santo”. Il fatto che Gesù esiga da noi la perfezione del Padre significa che esiste in noi questa capacità, avendoci trasformati in veri figli di Dio. Possiamo dire che in noi c’è il DNA di Dio Padre e del suo Figlio Gesù Cristo.

 

Gesù esige da noi la perfezione e la santità di Dio in un contesto ben preciso. Lo fa parlando della paternità e tenerezza di Dio che ama tutti i suoi figli, e fa sorgere il suo sole anche sui cattivi e fa piovere anche sugli ingiusti, beneficando con i suoi doni anche i peccatori. Orbene Dio vuole che lo imitiamo, soprattutto in questo suo amore. Perciò dobbiamo impegnarci ad astenerci dall’odio, dalla vendetta e dal rancore verso il prossimo.

 

Il male, per quanto grande sia, moltiplica il suo effetto se la vittima si lascia imbrigliare da esso attraverso la rabbia, il rancore o la vendetta che ne seguirebbe; l’esercizio del perdono, ovvero della libertà di accogliere quel male e di restituirlo trasformandolo in un’offerta di presa di coscienza, rimette al mal-fattore la scelta di riconoscere quanto ha fatto e di rimediare, o di rimanere legato al suo stesso male. Dato che il perdono lo si può solo offrire, ma aspetta poi al “perdonato” accoglierlo o meno.

 

Nella nostra società, attraversata tuttora dall’odio e dalla violenza, il messaggio della fraternità universale esercita sempre un certo fascino. Non di rado però in nome della decantata fraternità universale si calpestano i valori più sacrosanti della coscienza cristiana e religiosa in genere predicando e imponendo di fatto un relativismo etico, che induce a ritenere inesistente un criterio oggettivo e universale per stabilire il fondamento e la corretta gerarchia di valori. Non essendo riconosciuta a priori alcuna verità come unico criterio pratico di discernimento dei valori, ci si affida all’opinione della maggioranza per stabilire le norme della convivenza pacifica tra gli uomini. Ogni scelta che riesce ad avere il consenso dei più diventa vincolante per tutti. Non è questa la fraternità universale proposta dal Vangelo. Essa svanisce se non è fondata nella verità della nostra comune figliolanza nei riguardi di Dio Padre di tutti. Non si può costruire una società fraterna che non rispetti la coscienza religiosa di ogni singola persona e il suo diritto a manifestarla.