Nel tempio
di Gerusalemme i vari membri delle tribù d’Israele si incontravano tra loro,
costituendo l’assemblea della comunità fedele. Vorremmo ora proporre il
vocabolo ebraico che designa proprio quell’assemblea: qahal, che è
sostantivo e verbo, cioè “assemblea, adunanza” e “convocare”, presente 173
volte. L’elemento più suggestivo è, però, da ricercare nell’antica versione
greca della Bibbia, detta “dei Settanta” a causa del numero leggendario dei
traduttori.
Ora, anche
chi non sa il greco, comprenderà il valore del termine da loro usato: ekklêsía,
donde il nostro “chiesa”. Qahal- ekklêsía è, perciò, il popolo di Dio
che si riunisce soprattutto nell’atto di culto, nella professione della fede e
nella carità fraterna. È la comunità fedele che è convocata da Dio per l’incontro
e il dialogo orante. Essa, nell’antico Israele, si riuniva in adunanza attorno
all’arca dell’alleanza, segno della presenza divina.
Quest’ultima
era una cassa di legno d’acacia rivestita d’oro. Sul coperchio una lastra d’oro,
sorretta da due cherubini anch’essi d’oro, era considerata lo “sgabello dei
piedi del Signore” che scendeva dal cielo per incontrare il suo popolo. L’arca
è descritta due volte nel libro dell’Esodo (25,10-20; 37,1-9), si ricorda anche
il nome del suo artefice, Besalel, e si descrive pure la modalità del suo uso
nelle processioni. Al suo interno erano custodite le due tavole di pietra di
Mosè e, secondo la Lettera agli Ebrei (9,4), anche un vasetto di manna e il
bastone di comando del sacerdote Aronne, una sorta di scettro rituale.
Il termine
qahal diventa quasi una definizione della comunità ebraica, soprattutto
mentre è in marcia nel deserto del Sínai. Così, ad esempio, quando gli
Israeliti si lamentano per la fame accusano Mosè e Aronne con queste parole: “Ci
avete fatto uscire in questo deserto per far morire di fame tutta questa
assemblea (qahal)” (Es 16,3). Core, Datan e Abiram, tre membri del
popolo, ordiscono una rivolta contro Mosè e Aronne, seguiti da un forte gruppo
di ribelli. Il loro atto d’accusa è chiaro: “Basta con voi! Tutta la comunità,
tutti sono consacrati e il Signore è in mezzo a loro. Perché vi innalzate sopra
l’assemblea (qahal) del Signore?” (Nm 16,3).
Quando
Mosè giunge alle soglie della terra promessa e sa che la sua missione è
compiuta, “pronuncia davanti a tutta l’assemblea (qahal) d’Israele un
cantico” d’addio (Es 31,30). Infine, secoli dopo, quando Israele, dopo l’esilio
babilonese, ritorna nella sua terra e si costituisce in un nuovo stato retto
dal sacerdote Esdra, “un’immensa assemblea (qahal) si riunì attorno a
lui, uomini, donne e fanciulli” (Esd 10,1).
Una nota
in appendice. Ci si è ormai abituati al titolo ebraico di un libro biblico
sapienziale piuttosto originale nel suo messaggio: è il Qohelet, che una
volta era chiamato Ecclesiaste sulla base della versione greca che sopra
abbiamo spiegato. Sì, quel termine è uno pseudonimo che significa “presidente
di un’assemblea (qahal)”, in questo caso di discepoli che lo ascoltano.
Fonte: Gianfranco
Ravasi, L’alfabeto di Dio, San Paolo, Cinisello Balsamo 2023, pp.
129-130.