At 4,32-35; Sal 117; 1Gv 5,1-6; Gv 20,19-31
Il brano del Vangelo di questa domenica è ricco di contenuti. In questa breve riflessione però ci limiteremo ad approfondire il dubbio di san Tommaso. Notiamo anzitutto che al di là delle apparenze, il dubbio non è affatto il contrario della verità. In un certo senso, ne è la ri-affermazione. È incontestabile che solo chi crede nella verità può dubitare, anzi: dubitarne. Perché il dubbio è un atteggiamento di ricerca, di esplorazione. Il dubbio, dal quale sant’Agostino fu spesso tormentato, è stato per il santo un passaggio obbligato per approdare alla verità. E così per altri grandi santi. Un noto filosofo britannico del secolo scorso, Bertrand Russell, diceva che “il problema dell’umanità è che gli stupidi sono sempre sicurissimi, mentre gli intelligenti sono pieni di dubbi”.
Concentrando
ora la nostra attenzione sul dubbio dell’apostolo san Tommaso, vediamo che egli
non si lascia convincere dalla visione del Risorto che gli altri discepoli
hanno avuto. Tommaso vuole personalmente vedere e toccare. Ma quando poi Gesù
ricompare per la seconda volta e lui è presente, non si dice che abbia toccato
né le mani né il costato trafitto. Al rimprovero di Gesù, un rimprovero pieno
di bontà, Tommaso riconosce il Risorto, un riconoscimento pieno, il più alto ed
esplicito dell’intero Vangelo: “Il mio Signore e il mio Dio”. La confessione di
Tommaso non esprime soltanto il riconoscimento ma l’appartenenza, lo slancio e
l’amore: non dice “Signore Dio”, ma “il mio
Signore e il mio Dio”.
Tommaso
ha conosciuto il dubbio, ma questo non gli ha impedito di giungere ad una fede
piena. Nell’esperienza di Tommaso c’è stata però una pretesa dalla quale
occorre purificarsi. Gesù gli rimprovera: “Tu hai creduto perché mi hai
veduto”, e aggiunge: “Beati quelli che hanno creduto senza avermi veduto”. La
normalità della fede riposa sul fondamento dell’ascolto, sul fondamento della
testimonianza apostolica.
Gli
uomini di oggi, come una volta san Tommaso, vorrebbero vedere e toccare, ma la
loro fede è legata alla visibilità della nostra testimonianza, della nostra
vita trasformata come quella dei primi cristiani di cui parla il brano degli Atti
degli Apostoli proposto come prima lettura: questi cristiani – si dice – erano
“un cuore solo e un’anima sola”. Dopo la risurrezione, Gesù è presente nella
comunità dei credenti e si rende visibile al mondo attraverso i gesti di carità
fraterna di coloro che credono in lui. L’amore non è fatto di parole. Gesù lo
aveva detto ai discepoli nel discorso di addio: “Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli, se avrete amore gli uni per gli altri” (Gv 13,35).
La
risurrezione si realizza ed è testimoniata là dove si porta la pace, si libera
dal male, si dona speranza, si costruisce un futuro sereno, là dove l’amore si
traduce in fatti, là dove il volto misericordioso di Dio si incarna nelle
nostre parole e nelle nostre azioni.