Per
Parmenide il tempo è solo un’illusione figlia del divenire che contrasta con
l’immutabilità dell’Essere. Egli considera assurda questa suddivisione che
racchiude il presente, istantaneo e fuori dallo scorrere del tempo per definizione,
fra un passato che non è, perché è già stato, e un futuro che non è, perché
deve ancora essere. Platone risolverà, almeno in parte, accettando il tempo
come sequenza di presente, passato, futuro per il solo mondo materiale,
imperfetto e corruttibile, mentre al mondo delle forme, essenza perfetta e
immutabile delle cose, competerà un eterno presente senza tempo. Nello stesso
solco, Aristotele distinguerà fra tempo ciclico, definito dal movimento
regolare e perfetto delle sfere celesti, e primo motore immobile collocato
nell’eternità, al di fuori del tempo, concezione che dominerà il pensiero
occidentale fino agli albori dell’era moderna.
Sarà un
pensatore cristiano, Agostino d’Ippona, il primo a interiorizzare con profonda
consapevolezza il concetto di tempo: “E’ in te, animo mio, che misuro i tempo”.
Egli mette in discussione la realtà di passato, presente e futuro, dal momento
che il primo non è più, il terzo non è ancora e anche lo stesso tempo presente,
se fosse sempre presente, senza tradursi in passato, non sarebbe più tempo
bensì eternità. Ma mentre ne disintegra la sostanza, Agostino recupera il
concetto di tempo come successione di stati di coscienza: “Noi percepiamo gli
intervalli di tempo”. I tre tempi esistono solo nel nostro animo: “Il presente
del passato è la memoria, il presente del presente la visione, il presente del
futuro l’attesa”.
Interiorizzando
il tempo e riducendolo a un’estensione dell’anima, nel IV secolo d.C. Agostino
anticipa quello che lo sviluppo delle moderne neuroscienze ci ha fatto capire
con una mole impressionante di evidenze: la presenza forte del senso del tempo
nella percezione umana, come strumento indispensabile per la sopravvivenza
della specie.
Fonte:
Guido Tonelli, Tempo. Il sogno di uccidere Chrónos, Feltrinelli Editore,
Milano 20234, p. 30