Es
20,1-17; Sal 18; 1Cor 1,22-25; Gv 2,13-25
La
seconda parte del Sal 18, quella ripresa dalla liturgia odierna come salmo
responsoriale, è un elogio della legge divina, fonte di vita e di gioia, di saggezza
e giusto giudizio, di rettitudine, giustizia e purezza, più preziosa e dolce di
ogni altra cosa. Il testo salmico trova compimento in Gesù. Egli stesso è legge
per il nuovo popolo di Dio, indirizzo per la nostra esistenza, consolazione e
conforto per le ore del dubbio. Perciò rinnoviamo a lui la professione di fede
di Pietro: “Signore, tu hai parole di vita eterna” (Gv 6,68).
La
liturgia odierna ci invita a rileggere, in chiave cristiana e pasquale, la
pagina biblica dei dieci comandamenti o “dieci parole”, la cui promulgazione è
riportata dalla prima lettura. Notiamo che il racconto non inizia con un
comandamento ma col ricordo dell’opera divina di salvezza: “Io sono il Signore,
tuo Dio, che ti ho fatto uscire dalla terra d’Egitto, dalla condizione servile”.
Il comportamento etico dell’uomo viene proposto dalla Bibbia come risposta a
Dio che si manifesta nella storia come liberatore e salvatore. D’altra parte,
l’opera divina di salvezza ha il suo momento culminante nell’incarnazione,
morte e risurrezione del Figlio Gesù Cristo, che ci ha liberati dalla schiavitù
del peccato. Cristo è quindi colui che dà senso e qualità etica all’agire
cristiano. Ciò viene confermato da san Paolo che nella seconda lettura afferma
che la legge, o meglio la volontà salvifica di Dio non si manifesta né
attraverso l’osservanza legale né attraverso la ricerca della ragione, ma in
Cristo crocifisso: la croce, che testimonia l’amore folle di Dio per tutti gli
uomini senza distinzione, contesta energicamente le idee correnti sul potere e
sulla saggezza. La croce di Cristo, oltre che essere il frutto di una storia di
iniquità e di peccato, è anche e soprattutto la storia di un amore assoluto che
risplende proprio là dove si consuma l’odio.
Nel
contesto delle due prime letture, il cui contenuto abbiamo succintamente illustrato,
possiamo capire meglio il messaggio del brano evangelico di questa domenica.
Apparentemente il racconto evangelico parla di tutt’altro argomento: Gesù scaccia
i venditori e cambiamonete dal tempio. Possiamo interpretare questo gesto alla
luce del messaggio dei profeti che avevano annunciato una futura purificazione
del tempio (cf. Zc 14,21; Ml 3,1). Col suo modo di agire, provocato dallo zelo
per la casa del Signore (cf. Sal 69,10), Gesù fa capire che il giorno
annunciato dai profeti è venuto. Il gesto di Gesù che scaccia dal tempio i
mercanti e i cambiamonete è quindi un gesto profetico che rivela l’identità di
Gesù e il ruolo provvisorio del tempio e, in generale, il superamento delle
istituzioni dell’Antico Testamento: “Distruggete questo tempio e in tre giorni
lo farò risorgere”. Con queste parole, Cristo dichiara superata la legge
antica, di cui il tempio è simbolo centrale, e colloca se stesso come punto di
riferimento dei nuovi rapporti dell’uomo con Dio. Cristo è egli stesso la nuova
legge, colui che ha sancito l’alleanza definitiva tra Dio e gli uomini versando
il proprio sangue sulla croce; il corpo di Cristo morto e risorto è il centro
del nuovo culto e il tempio della nuova alleanza, in quanto è il luogo della
presenza definitiva di Dio in mezzo agli uomini. Liberati in virtù di Cristo,
possiamo vivere ormai una comunione profonda con Dio e con i fratelli. Tutto
ciò è frutto della passione, morte e risurrezione di Gesù. È il segno che Gesù
offre all’incredulità manifestata dai suoi interlocutori.
Gesù
divenuto il nuovo tempio, inaugura un nuovo culto, il cui culmine è
l’eucaristia, il suo corpo donato e il suo sangue versato per la nostra
salvezza.