Ho incontrato il sacro, gli
sono andato incontro, in Bosnia. Erano pietre: di moschee, di chiese cattoliche
e ortodosse, scombinate a terra a mucchio, là dove erano cadute. La materia di
fabbrica spezzata conteneva l’intero, perché il residuo, il rimasuglio assorbe
in sé il perduto. L’odio che abbatte il sacro in fondo lo restaura. Le solenni
architetture che non mi avevano procurato l’accidente dell’incontro, ridotte in
rovina dalle artiglierie, senza più polvere di crollo, lustrate dalle piogge e
dalla neve, diventavano sacre. I sensi di un passante, uno straniero lento alle
chiamate, avvisavano questo: che il sacro è crollo e poi risurrezione, non
permanenza eterna di solidità, stabilità di luoghi e procedure. Abramo doveva
alzare il coltello sulla nuda gola del figlio e Gesù non poteva morire di
vecchiaia. Solo dopo i sensi, che hanno incontrato le macerie dei culti, si fa
nitido il verso del profeta Michea/Micà che scrive: “Ki nafàlti kàmti” (7,8):
“quando sono caduto mi sono alzato”. Dentro il frattempo dei crolli esiste e
resiste il sacro, anche per uno senza credo, e che soltanto legge.
Fonte: Erri De Luca, Cercatori
d’acqua (Le perline), Giuntina, Firenze 2023, pp. 70-71.