Sap 2,12.17-20; Sal 53; Gc 3,16-4,3; Mc 9,30-37
Tra
la via della croce, tema della domenica scorsa, e la via del servizio che ci
viene proposta oggi dalla parola di Dio c’è una profonda affinità. Dopo la
rivelazione del mistero di sofferenza verso cui si incammina, Gesù formula il
codice dell’autorità cristiana come servizio e dono di sé per gli altri. Così
comprendiamo quale senso Egli dà alla sua passione: è un servizio, un donare la
vita per gli altri.
Le
tre letture bibliche parlano di una serie di comportamenti inaccettabili da
colui che intende vivere da uomo giusto. Constatiamo infatti che non è la
giustizia ciò che il più delle volte interessa agli uomini, ma il prestigio, la
grandezza, la carriera (cf. lettura evangelica), il possesso (cf. seconda
lettura). Per ottenerli si litiga, si ricorre all’insulto, magari all’omicidio
e alla guerra (cf. seconda e anche prima lettura). Infatti, l’avidità,
l’intolleranza, la gelosia, l’asservimento agli istinti umani del possesso e
del dominio hanno sempre generato guerre e conflitti larvati o dichiarati anche
talvolta nelle comunità cristiane e nella Chiesa. Prendendo come punto di
riferimento principale il brano evangelico, vediamo che domenica scorsa san Pietro
cercava di dissuadere Gesù dal percorrere il cammino della croce; oggi mentre
Gesù annuncia che sta per essere consegnato nelle mani degli uomini che lo
uccideranno, tutto il gruppo dei discepoli sta discutendo su questioni di
prestigio, su a chi aspettano i primi posti. Insomma, sembra che Gesù e i suoi
discepoli parlino linguaggi diversi, siano mossi da interessi contrastanti, non
riescano a comunicare tra loro. I pensieri di Gesù sono in aperta
contraddizione con i pensieri dei discepoli. Comprendere la parola di Gesù
implica un coinvolgimento spirituale che essi al momento non hanno raggiunto.
Pazientemente
il Signore, arrivati a casa - dice il testo - cerca di spiegare quali devono
essere i rapporti in seno alla comunità di coloro che intendono seguirlo e
diventare discepoli: “Se uno vuol essere il primo, sia l’ultimo di tutti e il
servitore di tutti”. Gesù aggiunge alle sue parole il tenero gesto
dell’abbraccio ad un bambino. Nel contesto, il gesto intende essere un
pressante appello alla totale disponibilità, all’abbandono senza calcoli,
doppiezze e interessi. A chi ambisce i primi posti fondandosi sulla propria
“grandezza”, Gesù oppone il piccolo e ultimo per eccellenza, il bambino.
Accoglierlo nel suo nome è accogliere lui stesso come Salvatore inviato dal
Padre.
Il
servizio è il segno del vero discepolo di Cristo, è il frutto di un amore
dimentico di sé, e - ad esempio di Cristo - ha la sua massima espressione nel
dono della vita per gli uomini. Il servizio cristiano non è passivo, ma attivo.
Servire non significa sottomettersi a chiunque, ma mettere le nostre risorse
spirituali e materiali, noi stessi a disposizione della promozione dei nostri
fratelli e sorelle. San Giacomo, nella seconda lettura, parla della “sapienza
che viene dall’alto”. La sapienza o saggezza cristiana procede per vie
pacifiche, con la persuasione, cerca di evitare dissidi e contrasti, limita la
polemica, evita la maldicenza; si pone invece al servizio della giustizia.