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domenica 15 settembre 2024

LA CRISI DELLA PRATICA RELIGIOSA

 



 

In agosto del 2016, ho presentato in questo blog il libro di Franco Garelli, Piccoli atei crescono. Davvero una generazione senza Dio? Il Mulino, Bologna 2016. Otto anni fa, questo studio affermava che il fenomeno della “non credenza” tra i giovani italiani stava assumendo dimensioni impensabili soltanto sino a pochi anni fa, di cui c’è scarsa consapevolezza sia nell’immaginario collettivo sia tra gli stessi operatori del sacro. Tra l’altro, si affermava che la presenza ai riti religiosi (esclusi matrimoni e funerali) coinvolgeva settimanalmente il 13,2% dei giovani italiani tra i 18 e 29 anni (p. 37).

 

La settimana scorsa, ho presentato la recente opera del sociologo Luca Diotallevi, La Messa è sbiadita. La partecipazione ai riti religiosi in Italia dal 1993 al 2019. Secondo questa ricerca, la quota di individui con 18 anni di età o più che dichiarano di aver partecipato almeno una volta alla settimana a un rito religioso, passa dal 37,3% del 1993 al 23,7% del 2019 (p. 17). L’autore afferma, poi, che le donne stanno disertando i riti religiosi a un ritmo più veloce di quello degli uomini (p. 89). Non aggiungo altri dettagli che il sociologo illustra con precisione.

 

Il Prof. Diotallevi afferma che il suo lavoro è un lavoro sociologico e che la partecipazione ai riti religiosi potrebbe essere analizzato da altri punti di vista (p. 9). Non mancano nel libro delle valutazioni sulle cause di questo deprezzamento della pratica religiosa. Anzitutto occorre collocare questo fenomeno in un conteso sociale in cui i legami tra le persone sono più deboli, meno significativi, si incontra meno frequentemente l’amico, diminuiscono i matrimoni, si vota di meno, ecc. In questo contesto si inserisce anche la diminuzione della partecipazione ai riti religiosi. Poi, “non è affatto da escludere che nella concreta prassi celebrativa cattolica anche in Italia sia aumentato il disimpegno del modello prescritto. Che poi ciò sia in contraddizione con la riforma liturgica proposta dal Vaticano II non sorprenderebbe affatto. Così come non sorprenderebbe che la diffusione in ambito cattolico di liturgie centrate sul protagonismo di coloro che le presiedono e dei loro più stretti collaboratori ben se accordi con ciò che (poco sorprendentemente) accomuna le critiche “tradizionaliste” e quelle “progressiste” alla riforma liturgica del Concilio” (p. 82). Più avanti, l’autore ipotizza che la suddetta crisi della pratica religiosa sia “l’effetto di una sorta di risacca seguita alla dissoluzione della coalizione riformista guidata da Paolo VI, affermatasi al Vaticano II e manifestatasi pienamente per l’ultima volta con il varo delle riforme (concernenti non solo la liturgia) del biennio 1967/1969” (p. 83).