In agosto del 2016, ho presentato
in questo blog il libro di Franco Garelli, Piccoli atei crescono.
Davvero una generazione senza Dio? Il Mulino, Bologna 2016. Otto anni fa,
questo studio affermava che il fenomeno della “non credenza” tra i giovani
italiani stava assumendo dimensioni impensabili soltanto sino a pochi anni fa,
di cui c’è scarsa consapevolezza sia nell’immaginario collettivo sia tra gli
stessi operatori del sacro. Tra l’altro, si affermava che la presenza ai riti
religiosi (esclusi matrimoni e funerali) coinvolgeva settimanalmente il 13,2%
dei giovani italiani tra i 18 e 29 anni (p. 37).
La settimana scorsa, ho presentato
la recente opera del sociologo Luca Diotallevi, La Messa è sbiadita. La
partecipazione ai riti religiosi in Italia dal 1993 al 2019. Secondo questa
ricerca, la quota di individui con 18 anni di età o più che dichiarano di aver
partecipato almeno una volta alla settimana a un rito religioso, passa dal
37,3% del 1993 al 23,7% del 2019 (p. 17). L’autore afferma, poi, che le donne
stanno disertando i riti religiosi a un ritmo più veloce di quello degli uomini
(p. 89). Non aggiungo altri dettagli che il sociologo illustra con precisione.
Il Prof. Diotallevi afferma che il
suo lavoro è un lavoro sociologico e che la partecipazione ai riti religiosi
potrebbe essere analizzato da altri punti di vista (p. 9). Non mancano nel
libro delle valutazioni sulle cause di questo deprezzamento della pratica
religiosa. Anzitutto occorre collocare questo fenomeno in un conteso sociale in
cui i legami tra le persone sono più deboli, meno significativi, si incontra
meno frequentemente l’amico, diminuiscono i matrimoni, si vota di meno, ecc. In
questo contesto si inserisce anche la diminuzione della partecipazione ai riti
religiosi. Poi, “non è affatto da escludere che nella concreta prassi
celebrativa cattolica anche in Italia sia aumentato il disimpegno del modello
prescritto. Che poi ciò sia in contraddizione con la riforma liturgica proposta
dal Vaticano II non sorprenderebbe affatto. Così come non sorprenderebbe che la
diffusione in ambito cattolico di liturgie centrate sul protagonismo di coloro
che le presiedono e dei loro più stretti collaboratori ben se accordi con ciò
che (poco sorprendentemente) accomuna le critiche “tradizionaliste” e quelle
“progressiste” alla riforma liturgica del Concilio” (p. 82). Più avanti,
l’autore ipotizza che la suddetta crisi della pratica religiosa sia “l’effetto
di una sorta di risacca seguita alla dissoluzione della coalizione riformista guidata
da Paolo VI, affermatasi al Vaticano II e manifestatasi pienamente per l’ultima
volta con il varo delle riforme (concernenti non solo la liturgia) del biennio
1967/1969” (p. 83).