Fin dalle origini della Chiesa sono apparsi alcuni
riti, necessari a chi appartiene al popolo di Dio per la manifestazione, l’epifania
della comunione. Il battesimo, la cena del Signore, l’imposizione delle mani
sono riti che da sempre hanno accompagnato i cristiani e sempre li accompagneranno.
Senza segni, senza epifanie, senza dire l’uno all’altro la nostra fede, non è
possibile per noi essere discepoli di Gesù. Ha scritto Louis-Marie Chauvet: “La
buona salute della fede cristiana è legata non a un rigetto del rito, ma a una
sua gestione critica, e ciò suppone che esso sia costantemente evangelizzato. È
importante a questo riguardo ricordare che il cuore della liturgia e dei
sacramenti cristiani non è il rito, bensì la parola di Dio: è sempre questa
parola che in essi avviene, ma vi avviene sotto forma rituale”.
Tale ritualità tuttavia – non va dimenticato –
rischia sempre di essere ambigua, o addirittura falsa e ipocrita, come
denunciavano i profeti: basta che sia ritualità non accompagnata dalla verità e
dalla concretezza della realizzazione nella vita per diventare “abominio,
delitto e solennità” (cf. Is 1, 13): liturgia grandiosa, magari faraonica, ma
pure scena religiosa mondana.
Sollecitudine per la liturgia sì, sollecitudine
per il sacro no!
Fonte: Enzo Bianchi, Rinascere. Il futuro del
cristianesimo, San Paolo, Cinisello Balsamo 2024, pp. 68-69.