Gs 5,9a.10-12; Sal
33 (34); 2Cor 5,17-21; Lc 15,1-3.11-32
L’antifona
d’ingresso invita alla gioia: “Rallegrati (Laetare),
Gerusalemme… Esultate e gioite voi che eravate nella tristezza…”. Il salmo
responsoriale riprende questa tematica in chiave di ringraziamento: “Benedirò
il Signore in ogni tempo, sulla mia bocca sempre la sua lode…” Perciò questa
domenica si chiama anche “Domenica Laetare”.
Il tema ritorna nel vangelo al termine della parabola del figliol prodigo:
“Bisognava far festa e rallegrarsi, perché questo tuo fratello era morto ed è
tornato in vita…”
Le letture bibliche odierne, nel cuore del
cammino quaresimale, sono una solenne proclamazione della misericordia di Dio e
un pressante invito a riconciliarci con Lui. In questa domenica, come in quella
precedente, ritroviamo il tema della conversione, vista però sotto l’aspetto
della riconciliazione come dono dell’amore di Dio. La prima lettura parla della
sollecitudine di Dio per il suo popolo, al quale, dopo la traversata del
deserto, offre in dono una terra e una patria. Il brano del vangelo riporta la bellissima
parabola del figliol prodigo, che viene accolto dal padre misericordioso nella
casa paterna. Nella seconda lettura ascoltiamo san Paolo che parla di un Dio
misericordioso che ha riconciliato a sé il mondo in Cristo, non imputando agli
uomini le loro colpe; l’amore fedele di Dio ci viene comunicato tramite la
fedeltà solidale di Gesù crocifisso. All’azione di Dio che salva, noi siamo
invitati a corrispondere: come Israele che celebra nella gioia della Pasqua il
dono della terra promessa; come il figliol prodigo che riconosce il suo peccato
e si getta nelle braccia del padre.
La liturgia di questa domenica quaresimale è un
invito alla riconciliazione con Dio e con i fratelli. Notiamo però che centro
della bellissima parabola del figliol prodigo non è tanto la riconciliazione di
quest’ultimo con suo padre e la sua decisione di tornare in famiglia, ma
l’amore del padre che ridona al figlio minore la condizione precedente prima
ancora di ascoltare il suo pentimento. Qualcuno ha chiamato questo racconto la
parabola del Padre misericordioso o prodigo d’amore. È nota l’opera di Rembrandt,
che ha dipinto in modo meraviglioso l’episodio della parabola: nelle mani del
padre, notiamo la sinistra affusolata, femminile, materna; la destra invece
forte, maschile, paterna. Mani che esprimono amore, appoggio, sollecitudine,
fermezza, sicurezza.
La conversione – riconciliazione è anzitutto
una grazia, un dono dell’immenso amore di Dio. Egli è sempre pronto ad
accoglierci. Anzi Dio ha fatto già la sua parte, ci ha riconciliati a sé
tramite Gesù Cristo. Tocca a noi fare la nostra parte. La misericordia di Dio
ci viene incontro. Tocca a noi accoglierla nella concretezza della vita. Dio
non chiude la porta in faccia a nessuno. Tocca a noi varcare la soglia di
questa porta sempre aperta. Come nella parabola del figliol prodigo, il primo
atto della riconciliazione per quanto a noi concerne è la constatazione della
propria miseria, del proprio peccato. È un discorso che va talvolta contro
corrente in un ambiente culturale in cui si è perso di molto il senso del
peccato. La conversione, poi, non può esaurisci nell’intimo del cuore, è
chiamata ad esprimersi nel segno sacramentale. Infatti, l’esperienza cristiana
della conversione è suggellata dal sacramento del perdono e ha come effetto la
riconciliazione con Dio e con i fratelli. Riconciliati con Dio, non siamo più
divisi e disgregati in noi stessi, ma ritroviamo la nostra unità interiore e la
nostra vera libertà, che ci rende capaci di un servizio responsabile sia a Dio
che ai fratelli. Finalmente, riconciliati con Dio, possiamo gustare la gioia
nella cena pasquale dell’Agnello.