Facendo eco a passi famosi di Amos (5, 21-27) e
Osea (2, 13), anche Isaia (1, 10-20) denuncia le pratiche cultuali dei suoi
contemporanei, vuote di autentico spirito religioso e di tensione verso la
giustizia. Israele ha sempre dato molta importanza al culto, ma c’è culto e
culto. Per il profeta anche l’abbondanza di pratiche cultuali può – alla fine –
essere segno di incredulità, cioè di una falsa concezione di Dio. Al tempo di
Isaia si erano introdotte forme cultuali che arieggiavano i culti pagani (ad
esempio, i culti sotto le querce sulle alture: 1, 29). Ma forme a parte, si
finiva col considerare il Signore un dio pagano. Con le loro offerte cultuali
(abbondanti, generose e ripetute) i pagani si illudevano di comprare i loro
dei, di rabbonirli e renderseli favorevoli, di piegarli ai loro progetti. Ma il
Dio di Israele è diverso: è un Dio di amore, da amare. Certo la pioggia, il
sole e la fecondità dipendono da lui: ma vuole l’amore e la giustizia, non
semplicemente pratiche cultuali. Dio non si accontenta di doni, perché non è un
Dio interessato a se stesso. Vuole che la sua presenza sia riconosciuta nella
vita.
È interessante un confronto tra il profetismo
biblico e il profetismo babilonese. Per lo più i profeti babilonesi presentano
in nome di Dio richieste che riguardano sempre, o quasi, il settore cultuali:
l’erezione di un santuario, offerte riparatrici, e simili. Il loro Dio è
interessato alle offerte del popolo. I profeti biblici invece proclamano la
sovranità divina su tutta la vita ed esigono la realizzazione incondizionata
del diritto e della giustizia. Nel vero culto di Israele (così lo sognano i
profeti) si rinnova l’alleanza, e questa è – contemporaneamente – alleanza del
popolo di Dio e delle tribù fra di loro: una dimensione religiosa e una
dimensione politica, Per questo il culto assume un aspetto di conversione e di
missione: impegna a costruire la fraternità. Si veda la serie di imperativi
presenti nel capitolo 1: definiscono una morale sociale, fra uomo e uomo, con
particolare attenzione ai più deboli. È questo il vero culto:
Lavatevi, purificativi, togliete dalla mia vista
il male delle vostre azioni. Cessate di fare il male, imparate a fare il bene,
ricercate la giustizia, soccorrete l’oppresso, rendete giustizia all’orfano,
difendete la causa della vedova (Is 1, 16-17).
Naturalmente Isaia non è il difensore di una
religione spirituale, interiore, senza culto. Più semplicemente critica il
fatto che il culto sia diventato un atto magico, che distrae dalla conversione
e dalla giustizia. Non nega il culto, bensì non tollera di vederlo profanato.
Fonte: Bruno Maggioni, Ritrovare la
speranza. Figure dell’Antico Testamento, Milano 2024, pp. 78-79.