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domenica 23 marzo 2025

VERO E FALSO CULTO (Is 1,10-20)

 



Facendo eco a passi famosi di Amos (5, 21-27) e Osea (2, 13), anche Isaia (1, 10-20) denuncia le pratiche cultuali dei suoi contemporanei, vuote di autentico spirito religioso e di tensione verso la giustizia. Israele ha sempre dato molta importanza al culto, ma c’è culto e culto. Per il profeta anche l’abbondanza di pratiche cultuali può – alla fine – essere segno di incredulità, cioè di una falsa concezione di Dio. Al tempo di Isaia si erano introdotte forme cultuali che arieggiavano i culti pagani (ad esempio, i culti sotto le querce sulle alture: 1, 29). Ma forme a parte, si finiva col considerare il Signore un dio pagano. Con le loro offerte cultuali (abbondanti, generose e ripetute) i pagani si illudevano di comprare i loro dei, di rabbonirli e renderseli favorevoli, di piegarli ai loro progetti. Ma il Dio di Israele è diverso: è un Dio di amore, da amare. Certo la pioggia, il sole e la fecondità dipendono da lui: ma vuole l’amore e la giustizia, non semplicemente pratiche cultuali. Dio non si accontenta di doni, perché non è un Dio interessato a se stesso. Vuole che la sua presenza sia riconosciuta nella vita.

È interessante un confronto tra il profetismo biblico e il profetismo babilonese. Per lo più i profeti babilonesi presentano in nome di Dio richieste che riguardano sempre, o quasi, il settore cultuali: l’erezione di un santuario, offerte riparatrici, e simili. Il loro Dio è interessato alle offerte del popolo. I profeti biblici invece proclamano la sovranità divina su tutta la vita ed esigono la realizzazione incondizionata del diritto e della giustizia. Nel vero culto di Israele (così lo sognano i profeti) si rinnova l’alleanza, e questa è – contemporaneamente – alleanza del popolo di Dio e delle tribù fra di loro: una dimensione religiosa e una dimensione politica, Per questo il culto assume un aspetto di conversione e di missione: impegna a costruire la fraternità. Si veda la serie di imperativi presenti nel capitolo 1: definiscono una morale sociale, fra uomo e uomo, con particolare attenzione ai più deboli. È questo il vero culto:

Lavatevi, purificativi, togliete dalla mia vista il male delle vostre azioni. Cessate di fare il male, imparate a fare il bene, ricercate la giustizia, soccorrete l’oppresso, rendete giustizia all’orfano, difendete la causa della vedova (Is 1, 16-17).

Naturalmente Isaia non è il difensore di una religione spirituale, interiore, senza culto. Più semplicemente critica il fatto che il culto sia diventato un atto magico, che distrae dalla conversione e dalla giustizia. Non nega il culto, bensì non tollera di vederlo profanato.

 

Fonte: Bruno Maggioni, Ritrovare la speranza. Figure dell’Antico Testamento, Milano 2024, pp. 78-79.