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domenica 9 marzo 2025

LA SPERANZA

 



 

Possiamo distinguere una dimensione orizzontale o psicologica e una dimensione verticale o trascendente. La speranza è generalmente associata all’atteggiamento della persona o della società che spera di ottenere in futuro un bene prezioso, difficile da raggiungere, da cui dipende la propria felicità. O semplicemente intendiamo per speranza quell'atteggiamento che accompagna l’azione umana come sua condizione di possibilità, nel senso che ogni nostra azione, proprio perché esiste, presuppone la fiducia nella possibilità del suo compimento. Viviamo di piccole speranze quotidiane. Isidoro di Siviglia nel VII secolo identificò l’etimologia di spes en pes, piede, mettendo così in relazione la speranza con il cammino della vita. "Spes (speranza) è stato chiamato così perché è come il pes (il piede) di colui che cammina".[1] Vivere con speranza significa collocarsi nel “già” e “non ancora”, situarsi nella storia, sottomettendosi alla sua logica, ma allo stesso tempo certi di poterla trascendere. Parlare di speranza non significa evocare un ottimismo cieco, né una ideologia, né un provvidenzialismo secondo il quale prima o poi tutto conduce a un buon fine. La speranza accompagna l’evoluzione della vita e lo sviluppo psicologico dell’esistenza, rende possibile l’apertura verso l’inedito della storia.

Viviamo di attese, di piccole o grandi speranze quotidiane, e ciò rivela quanto sia per noi essenziale trascendere il presente, l’attimo fuggente. Ma è importante, al riguardo, mettere in luce un rischio a cui può condurre un’errata comprensione della speranza: quello di tendere costantemente oltre il presente, senza coglierlo nella sua irripetibilità, costringendosi di conseguenza a nutrire vuote speranze, cioè un’esistenza vissuta al futuro anteriore. In ogni modo, l’essere umano è naturalmente spinto a prendere posizione di fronte al futuro, a scommettere sull’avvenire. 

La dimensione cristiana della speranza può essere riassunta molto brevemente con alcuni dati che la Bibbia ci offre. Il Nuovo Testamento fa riferimento alla storia di Abramo per indicare che la Nuova Alleanza è il pieno compimento della speranza di Israele (cfr. Eb 11,8-19) e quindi il santo patriarca è considerato “il padre di tutti noi (Rm 4,16). Con la Pasqua di Cristo, ciò che è definitivo (èschatos) esercita il suo dominio nella storia, anche se la dinamica della speranza non si esaurisce con Gesù Cristo, nel senso di una pienezza già ottenuta, ma la conferma e la rafforza. Certamente noi cristiani abbiamo riposto la nostra speranza in Cristo: “Gesù Cristo, nostra speranza” dice san Paolo (1 Tm 1,1) o “Cristo in voi, speranza della gloria” (Col 1,27).  E siamo invitati a rimanere “saldi nella speranza che professiamo” (Eb 10,23). La speranza, come componente fondamentale dell’antropologia cristiana, è intimamente legata alla fede nelle ultime realtà. Non è illusoria, è piuttosto costante, e san Paolo la intreccia con “l'attività della vostra fede, l'impegno della vostra carità e la costanza della vostra speranza” (1 Ts 1,3).

Il poeta francese Charles Péguy, all’inizio del suo poema sulla speranza, parla delle tre virtù teologali come di tre sorelle che camminano insieme. La speranza cristiana ha come compagne di viaggio che non l’abbandonano mai la fede e la carità, le sorelle più grandi. La piccola speranza avanza fra le due sorelle grandi e non si nota neanche. È lei, quella piccina, che trascina le altre due. È lei che fa camminare le altre due. E che fa camminare tutti quanti. La speranza è il sale della quotidianità. La speranza sorge dalla fede e si nutre dell’amore. Senza questa circolarità non sarebbe possibile comprendere la specificità della speranza cristiana.



[1] Isidoro di Siviglia, Etimologie VIII,2,5, ed. it. a cura di Angelo Valastro Canale, UTET, Torino 2004, pp. 629-631.