Questa breve riflessione non intende negare una
tradizione che ha valutato l’orientamento della preghiera verso l’Oriente,
anche se credo che oggi per la sensibilità dell’uomo postmoderno in un ambiente
globalizzato, questa tradizione ha effetti più teorici che effettivi.
Nella liturgia romana troviamo anche una
sottolineatura dell’orientamento verso l’alto. Ripercorriamo l’Ordinario della Messa: cantiamo “Gloria
a Dio nell’alto dei cieli”; nel Credo
affermiamo che Gesù risorto “è salito
al cielo”; all’inizio del prefazio siamo invitati a innalzare i nostri cuori in
alto (“in alto i nostri cuori”); e
alla fine del prefazio, cantiamo “Osanna nell’alto
dei cieli”; la prima preghiera eucaristica nel momento del racconto
dell’istituzione dice che “Gesù prese il pane nelle sue mani santi e
venerabili, e alzando gli occhi al
cielo a te Dio Padre…”, e la rubrica del Messale dice che anche il sacerdote
che pronuncia queste parole deve “alzare
gli occhi”.
Vediamo che la maggior parte di questi testi parlano
dell’alto dei cieli in cui c’è Dio,
come preghiamo nel Padrenostro: “Padre nostro, che sei nei cieli”. Il cielo “è
una manifestazione diretta della trascendenza, della potenza, dell’eternità,
della sacralità, irraggiungibili per tutti gli abitanti della terra. Il solo
fatto di essere elevato, di trovarsi in alto, equivale a essere potente (nel
senso religioso della parola) e a essere come tale saturo di sacralità…” (J.
Chevalier – A. Gheerbrant, Dizionario dei
simboli. Miti, segni, costumi, gesti, forme, figure, colori, numeri [BUR
saggi], Rizzoli 201512, p. 263).
Sono numerosi i testi eucologici del Messale Romano che parlano di questa
dimensione simbolica. Nella IV domenica di Avvento, l’antifona d’introito canta
il Rorate: “Stillate dall’alto, o
cieli, la vostra rugiada e dalle nubi scenda a noi il Giusto…” E l’introito
della II domenica dopo il Natale, dice: “il Verbo onnipotente è sceso dal
cielo, dal trono regale” (… de caelis a
regalibus sedibus venit). Si potrebbe continuare studiando la terminologia
“celeste” che nella terza edizione del Messale
Romano è abbondantissima: caeli,
caelestis, ecc. appaiono ben 443 volte.
La liturgia ha una spiccata dimensione escatologica.
La celebriamo fino a quando il Signore Gesù ritornerà. Il mistero
dell’Ascensione che abbiamo celebrato domenica scorsa, ci invita ad attendere
questo ritorno dall’alto: “…mentre lo guardavano, fu elevato in alto e una nube
lo sottrasse ai loro occhi”. E due uomini in bianchi vesti dissero ai
discepoli: “… Questo Gesù, che di mezzo a voi è stato assunto in cielo, verrà
allo stesso modo in cui l’avete visto andare in cielo” (At 1,9.11). Quando celebriamo
l’Eucaristia, la celebriamo in attesa del ritorno del Signore: “finché egli
venga” (1 Cor11,26) dall’alto dei cieli.
M. Augé