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mercoledì 23 dicembre 2020

NATALE DEL SIGNORE – 25 Dicembre 2020 Messa del giorno

 



 

Is 52,7-10; Sal 97; Eb 1,1-6; Gv 1,1-18

 

Tra le letture bibliche della Messa del giorno di Natale, emerge lo splendido brano della prima pagina del vangelo di Giovanni, testo sobrio e solenne al tempo stesso, di profonda dottrina cristologica, vero antidoto contro ogni eventuale lettura sentimentale, fatua e consumistica del mistero natalizio. Oggetto dei 18 versetti del prologo giovanneo è Gesù Cristo, colto nelle sue diverse dimensioni.

 

Anzitutto meritano una particolare attenzione le prime battute del prologo: “In principio era il Verbo…” Il termine “principio” è accompagnato dal verbo essere al tempo imperfetto (“era”). In questo modo, Giovanni intende affermare che una realtà sussiste indipendentemente dai condizionamenti imposti dal decorrere del tempo. Infatti quando l’evangelista vuole significare la delimitazione temporale utilizza i verbi “essere fatto” per dire che una cosa ha avuto inizio in un determinato momento, e “diventare” per alludere a qualche aspetto della mutabilità. Ecco quindi che l’espressione giovannea intende dire che il Verbo era precedentemente all’esistere del tempo, all’ “in principio” in cui l’esistente ha preso inizio, dunque da sempre, dall’eternità. In questo modo, Giovanni ci mostra che il Cristo ingloba in sé non solo l’orizzonte dell’antica Alleanza ma anche quello della creazione.

 

Questo “Verbo” eterno “si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi”. “Carne”, senza ulteriori specificazioni, non significa semplicemente uomo, ma l’uomo legato alla terra, debole e caduco. Si direbbe che Giovanni intenda sottolineare tutta la diversità e distanza fra il divino e l’umano. Il Verbo che era “presso Dio” ora è “fra noi”, non solo vicino a noi ma pienamente partecipe della nostra umanità. Nel linguaggio biblico “carne” non significa il corpo dell’uomo contrapposto allo spirito, ma l’uomo intero colto nella sua caducità, nella sua debolezza, nel suo essere consegnato alla morte. Possiamo quindi affermare che il cosmo e la storia, lo spazio e il tempo, le cose e l’uomo, l’essere tutto acquistano nel mistero dell’Incarnazione un senso perché in essi si inserisce il Verbo eterno di Dio.

 

Qual è l’atteggiamento dell’uomo dinanzi a questo mistero? Giovanni afferma che il Verbo “venne fra i suoi, e i suoi non lo hanno accolto. A quanti però lo hanno accolto ha dato il potere di diventare figli di Dio…” Dinanzi a questo mistero la reazione è duplice: il rifiuto aggressivo o l’accoglienza fedele. Giovanni qualche versetto prima usa l’espressione: “il mondo non l’ha riconosciuto”. “Riconoscere” e “accogliere” sono due verbi importanti che il seguito del vangelo di Giovanni chiarisce. Riconoscere non è solo ascoltare la parola di Gesù e neppure solo capirne il senso, ma comprendere che le sue parole provengono dal Padre (cf. anche la seconda lettura). Si tratta quindi di riconoscere, ascoltando le parole e vedendo i segni da lui compiuti, che Gesù è il Figlio che viene dal Padre: è dunque il mistero della persona di Gesù, la sua origine, che va compresa e riconosciuta. E accogliere implica apertura, disponibilità e sequela.

 

Nella colletta della messa, riallacciandoci al v. 12 del prologo, chiediamo a Dio che “possiamo condividere la vita divina di suo Figlio, che oggi ha voluto assumere la nostra natura umana”.