In questo blog e altrove, ho
più volte segnalato i punti deboli o, mi si permetta di chiamarli, le “aporie” del
Motu proprio “Summorum Pontificum” [SP] con la Lettera ai vescovi che
l’accompagna. Dopo la pubblicazione del Motu proprio “Traditionis custodes”,
queste aporie acquistano una maggior evidenza.
1. Si afferma che il Messale
del 1962 “non fu mai giuridicamente abrogato”. E’ un’affermazione che contraddice
quanto ripetutamente aveva detto Paolo VI. D’altra parte, esiste il Pontificio
Consiglio per i testi legislativi, “la cui funzione consiste soprattutto
nella interpretazione delle leggi della Chiesa”, e non consta che questo
Consiglio si abbia pronunciato al riguardo.
2. Si riconosce, citando SC
22, che “ogni vescovo è il moderatore della liturgia nella propria diocesi”.
D’altra parte però si sottrae al vescovo la possibilità di regolare l’uso del
Messale del 1962. A tal punto che la Conferenza dei vescovi della Francia nella
risposta al formulario sull’applicazione del Motu proprio SP inviato dalla
Congregazione per la dottrina della fede, dice, tra l’altro, che “l’autorità
dei vescovi su queste comunità (che celebrano col Messale del 1962) è quasi
nulla”.
3. SP introduce accanto alla
“forma ordinaria” del rito romano (la riforma di Paolo VI) una “forma
straordinaria” dello stesso rito romano (la liturgia del 1962). Rimane incomprensibile come due
Liturgie, con ordinamento di letture diverso, calendari differenti, testi
diversi nei Tempi centrali dell’Anno liturgico, come cioè due forme espressive
diverse della lex orandi possano
realmente armonizzarsi con una lex
credendi della Chiesa. Ciò si può sostenere soltanto se non è il rito in se
ma il significato del rito a confrontarsi con la lex orandi. In questo modo verrebbe meno una visione teologica che
è maturata nel corso del Movimento liturgico e svanirebbe una fattiva
acquisizione della teologia liturgica postconciliare.
4. Si afferma che “le due
forme dell’uso del Rito Romano possono arricchirsi a vicenda”. Affermazione
ambigua che qualche anno fa ha ispirato ad un Emmo. Cardinale la proposta di
aggiungere nell’offertorio del Messale paolino le preghiere (ad libitum) dell’offertorio
del Messale del 1962.
5. “Ciò che per le generazioni
anteriori era sacro, anche per noi resta sacro e grande”. Questa solenne
affermazione, come è stato notato anche recentemente, è un principio che
scatena una vera e propria anarchia, perché si può applicare non solo al
Messale del 1962, ma ad altre espressioni rituali precedenti. Infatti, è noto
che alcuni gruppi che adoperano il Messale del 1962 non accettano il Triduo
pasquale riformato da Pio XII in esso inserito e, nell’occasione, adoperano una
edizione del Messale anteriore a tale riforma.
6.
Sembra chiaro che i criteri con cui la Lettera del 7 luglio 2007 giustifica il
ripristino della liturgia del 1962 sono di carattere soggettivo (desiderio,
forma a loro cara, sentirsi attirati, forma appropriata per loro…). Diverso è
il criterio che il card. Joseph Ratzinger nel 2001, al tempo Prefetto della
Congregazione per la dottrina della fede, esprimeva quando affermava: “Se
l'ecclesialità diventa una questione di libera scelta, se ci sono nella Chiesa
delle chiese rituali scelte secondo un criterio soggettivo, questo diventa un
problema. La Chiesa è costruita sui vescovi secondo la successione apostolica,
nella forma di Chiese locali, quindi con un criterio oggettivo. Io mi trovo in
questa Chiesa locale e non cerco i miei amici, incontro i miei fratelli e le
mie sorelle; i fratelli e le sorelle non si cercano, si incontrano” (Autour de la
question liturgique. Avec le Cardinal Ratzinger, Actes des Journées liturgiques de Fontgombault 22-24 Juillet
2001, Association Petrus a Stella, Fontgombault, 2001). Permettere di scegliere “à la carte” la propria tradizione rituale è un
modo di ferire gravemente l’unità e la struttura della Chiesa. Il problema non è solo rituale, ma ecclesiologico.