Translate

sabato 24 luglio 2021

LE APORIE DI “SUMMORUM PONTIFICUM”

 





 

In questo blog e altrove, ho più volte segnalato i punti deboli o, mi si permetta di chiamarli, le “aporie” del Motu proprio “Summorum Pontificum” [SP] con la Lettera ai vescovi che l’accompagna. Dopo la pubblicazione del Motu proprio “Traditionis custodes”, queste aporie acquistano una maggior evidenza.

1. Si afferma che il Messale del 1962 “non fu mai giuridicamente abrogato”. E’ un’affermazione che contraddice quanto ripetutamente aveva detto Paolo VI. D’altra parte, esiste il Pontificio Consiglio per i testi legislativi, “la cui funzione consiste soprattutto nella interpretazione delle leggi della Chiesa”, e non consta che questo Consiglio si abbia pronunciato al riguardo.

2. Si riconosce, citando SC 22, che “ogni vescovo è il moderatore della liturgia nella propria diocesi”. D’altra parte però si sottrae al vescovo la possibilità di regolare l’uso del Messale del 1962. A tal punto che la Conferenza dei vescovi della Francia nella risposta al formulario sull’applicazione del Motu proprio SP inviato dalla Congregazione per la dottrina della fede, dice, tra l’altro, che “l’autorità dei vescovi su queste comunità (che celebrano col Messale del 1962) è quasi nulla”.

3. SP introduce accanto alla “forma ordinaria” del rito romano (la riforma di Paolo VI) una “forma straordinaria” dello stesso rito romano (la liturgia del 1962). Rimane incomprensibile come due Liturgie, con ordinamento di letture diverso, calendari differenti, testi diversi nei Tempi centrali dell’Anno liturgico, come cioè due forme espressive diverse della lex orandi possano realmente armonizzarsi con una lex credendi della Chiesa. Ciò si può sostenere soltanto se non è il rito in se ma il significato del rito a confrontarsi con la lex orandi. In questo modo verrebbe meno una visione teologica che è maturata nel corso del Movimento liturgico e svanirebbe una fattiva acquisizione della teologia liturgica postconciliare.

4. Si afferma che “le due forme dell’uso del Rito Romano possono arricchirsi a vicenda”. Affermazione ambigua che qualche anno fa ha ispirato ad un Emmo. Cardinale la proposta di aggiungere nell’offertorio del Messale paolino le preghiere (ad libitum) dell’offertorio del Messale del 1962.

5. “Ciò che per le generazioni anteriori era sacro, anche per noi resta sacro e grande”. Questa solenne affermazione, come è stato notato anche recentemente, è un principio che scatena una vera e propria anarchia, perché si può applicare non solo al Messale del 1962, ma ad altre espressioni rituali precedenti. Infatti, è noto che alcuni gruppi che adoperano il Messale del 1962 non accettano il Triduo pasquale riformato da Pio XII in esso inserito e, nell’occasione, adoperano una edizione del Messale anteriore a tale riforma.

6. Sembra chiaro che i criteri con cui la Lettera del 7 luglio 2007 giustifica il ripristino della liturgia del 1962 sono di carattere soggettivo (desiderio, forma a loro cara, sentirsi attirati, forma appropriata per loro…). Diverso è il criterio che il card. Joseph Ratzinger nel 2001, al tempo Prefetto della Congregazione per la dottrina della fede, esprimeva quando affermava: “Se l'ecclesialità diventa una questione di libera scelta, se ci sono nella Chiesa delle chiese rituali scelte secondo un criterio soggettivo, questo diventa un problema. La Chiesa è costruita sui vescovi secondo la successione apostolica, nella forma di Chiese locali, quindi con un criterio oggettivo. Io mi trovo in questa Chiesa locale e non cerco i miei amici, incontro i miei fratelli e le mie sorelle; i fratelli e le sorelle non si cercano, si incontrano” (Autour de la question liturgique. Avec le Cardinal Ratzinger, Actes des Journées liturgiques de Fontgombault 22-24 Juillet 2001, Association Petrus a Stella, Fontgombault, 2001). Permettere di scegliere “à la carte” la propria tradizione rituale è un modo di ferire gravemente l’unità e la struttura della Chiesa. Il problema non è solo rituale, ma ecclesiologico.