Ger 33,14-16; Sal 24; 1Ts
3,12-4,2; Lc 21,25-28.34-36
L’anno liturgico inizia con
l’invito a dare uno sguardo alla storia della nostra salvezza. Il testo di
Geremia ci esorta alla fede, cioè alla fiducia nel compimento delle
promesse di Dio che ha avuto nella storia come momento culminante la prima
venuta del Figlio di Dio “nell’umiltà della nostra natura umana” (prefazio
dell’Avvento I). La seconda lettura ci invita alla carità, in cui tutti
i credenti siamo invitati a crescere e sovrabbondare nel tempo che ci viene
dato vivere in questo mondo. Il brano evangelico parla della meta e traguardo
ultimo e definitivo della storia: il ritorno del Figlio dell’uomo, che alla
fine dei tempi verrà “con grande potenza e gloria”, e ci esorta ad attenderlo con speranza
vigilante, senza turbamento.
Le immagini e le parole
misteriose con cui Gesù descrive il suo ritorno glorioso alla fine della storia
sono da interpretare in modo adeguato. Dietro questa descrizione del futuro,
che può apparire a prima vista fosca e terrorizzante, bisogna leggere l’attesa
di eventi storici che segneranno per sempre la sconfitta definitiva del male e
il trionfo ultimo del bene. In questa luce, il ritorno glorioso del Cristo alla
fine dei tempi, è da considerarsi un evento non tanto temuto quanto piuttosto
atteso, anzi addirittura invocato con speranza dagli oppressi, vittime della
malvagità degli uomini, e dall’intero popolo di Dio pellegrinante sulla terra.
Caratteristico del racconto di san Luca è appunto la speranza nel compimento
della salvezza: “Quando cominceranno ad accadere queste cose, risollevatevi e
alzate il capo, perché la vostra liberazione è vicina”. Speranza di cui parla
anche l’antifona d’ingresso della messa facendo proprie le parole del Sal 24,
adoperato inoltre come salmo responsoriale: “A te, Signore, elevo l’anima mia,
Dio mio, in te confido…” La nostra speranza poggia sulla fedeltà di Dio, che ha
fatto “promesse di bene” (prima lettura).
Per noi cristiani il tempo è un continuo “avvento”, un ininterrotto venire di Dio. Il Signore viene in continuazione, in ogni uomo e in ogni tempo. Perciò siamo invitati a vegliare e pregare. La vigilanza orante ci rende capaci di discernere i segni e i modi della presenza del Signore. La storia umana non è da concepirsi come un succedersi più o meno caotico di fatti senza significato, ma come il compiersi graduale del “progetto” di salvezza che Dio ha sull’uomo. In questo progetto Dio ha voluto impegnare anche la nostra libertà e quindi la nostra cooperazione. La nostra vita non sfocia nel nulla, nella delusione, ma può avere, se lo vogliamo, una conclusione positiva. Nel brano della seconda lettura, per preparare questo futuro positivo, san Paolo ci stimola a crescere e sovrabbondare nell’amore fra noi e verso tutti per rendere saldi e irreprensibili i nostri cuori e irreprensibili nella santità, “davanti a Dio e Padre nostro, alla venuta del Signore nostro Gesù con tutti i suoi santi.”
In questo impegno quotidiano
ci è di aiuto l’eucaristia, “che a noi pellegrini sulla terra rivela il senso
cristiano della vita”, ed è sostegno nel nostro cammino e guida ai beni eterni
(orazione dopo la comunione), nonché “pane del nostro pellegrinaggio” (Catechismo della Chiesa Cattolica, n.
1392). “L’eucaristia è tensione verso la meta, pregustazione della gioia piena
promessa da Cristo; in certo senso, essa è anticipazione del paradiso, pegno
della gloria futura. Tutto, nell’eucaristia, esprime l’attesa fiduciosa, che si
compia la beata speranza e venga il nostro Salvatore Gesù Cristo” (Ecclesia de Eucharistia, n. 18).