Terminata la lettura del Vangelo, il sacerdote acclama
“Verbum Domini” (Parola del Signore), e bacia il libro dicendo
sottovoce: “Per evangelica dicta deleantur nostra delicta” (La parola
del Vangelo cancelli i nostri peccati). Formule simili accompagnano fin
dall’anno mille circa il bacio del Vangelo. Alla acclamazione iniziale il
popolo risponde: “Laus tibi, Christe” (Lode a te, o Cristo). Sarebbe da
augurarsi che anche le parole sottovoce che accompagnano il bacio del libro alla
fine della lettura evangelica fossero pronunciate da tutti i partecipanti, si
tratta infatti di una formula al plurale che esprime in forma di preghiera ciò
che afferma l’Introduzione al Lezionario della Messa, al n. 4: “Nella
Parola di Dio è presente il Cristo, che attuando il suo mistero di salvezza,
santifica gli uomini e rende al Padre un culto perfetto”.
Nel secolo scorso, in particolare dopo la celebrazione
del Concilio Vaticano II, dagli anni ’70 in poi, sono stati diversi gli autori
che hanno approfondito e messo in rilievo la dimensione sacramentale della
Parola di Dio. Recentemente, ho presentato in questo blog l’importante studio
di A. Bozzolo e M. Pavan (Sacramentalità della Parola, Queriniana 2020),
che fa la sintesi di questo lungo cammino di approfondimento della dimensione
sacramentale della Parola. Ciononostante, possiamo affermare che permane ancora in alcune
riflessioni teologiche e nella pastorale, particolarmente in alcune omelie, una
certa dicotomia tra sacramento e Parola, cioè la concezione che il sacramento
dona la grazia mentre la Parola biblica propone la dottrina, che il sacramento
è efficace mentre la Parola può solo preparare il sacramento oltre che
insegnare. Ma se la parola di Dio non è vissuta nell'economia sacramentale fino
a essere accolta come realtà sacramentale, come trasmissione di potenza
spirituale e di grazia – e non solo come comunicazione di verità, di precetto e
di dottrina –, rischia di restare sempre parola su Dio, configurandosi soltanto come un preludio alla celebrazione
del sacramento.
La
Parola va proclamata, celebrata, ascoltata e vissuta. Ognuno di questi momenti
è importante affinché essa “abbia un intrinseco riferimento alla persona di
Cristo e alla modalità sacramentale della sua permanenza” (cf. Benedetto XVI, Sacramentum
caritatis 45). La nota affermazione di Agostino: “Accedit verbum ad
elementum et fit sacramentum” invita a sfruttare ogni elemento rituale che
accompagna la proclamazione della Parola. La forma dell’atto celebrativo
non è meramente un rivestimento esteriore del sacramento, ma la modalità
storica della sua attuazione.