1Sam 1,20-22.24-28; Sal 83; 1Gv 3,1-2.21-24; Lc 2,41-52
Tutte e tre le letture
bibliche odierne parlano della nascita dell’uomo all’interno della famiglia, ma
tutte e tre affermano che il bambino è più grande della famiglia in cui nasce.
Ciò la prima lettura lo dice di Samuele, il vangelo lo afferma di Gesù, e la
seconda lettura lo applica ad ogni uomo, ad ogni battezzato, vero figlio di
Dio. Il destino dell’uomo che viene a questo mondo è un destino che sovrasta i
limiti della famiglia in cui nasce perché la dimensione ultima della sua vita
trascende le realtà di questo mondo. Questo vale anzitutto per Gesù.
Il vangelo ci racconta che
Maria e Giuseppe si recano a Gerusalemme per la ricorrenza della Pasqua
ebraica. Gesù, ormai dodicenne, accompagna i suoi genitori in questo pio
pellegrinaggio. Ed ecco che al ritorno il bambino rimane a Gerusalemme senza
che i genitori se ne accorgano. Dopo tre giorni di angosciose ricerche, nel
ritrovarlo seduto in mezzo ai dottori nel tempio, Maria non può far a meno di
rimproverare affettuosamente suo figlio, come farebbe ogni mamma: “perché ci
hai fatto questo? Ecco, tuo padre e io, angosciati, ti cercavamo”. Gesù
risponde: “Perché mi cercavate? Non sapevate che io devo occuparmi delle cose
del Padre mio?”. E’ la prima autorivelazione del suo destino. Il brano
evangelico aggiunge che Maria e Giuseppe non compresero queste parole. Dice
però che Maria “custodiva tutte queste cose nel suo cuore”. La breve parentesi
dell’autorivelazione di Gesù nel tempio di Gerusalemme prelude a quella della
sua pasqua di morte e risurrezione. I tre giorni di angosciosa ricerca da parte
di Maria e Giuseppe anticipano i tre giorni del suo dramma finale.
L’odierna festa della Sacra
Famiglia ci invita a riflettere sul mistero del figlio, d’ogni figlio, d’ogni
uomo. “Eredità del Signore sono i figli” (Sal 127,3a). Perciò su ogni uomo che
viene a questo mondo, Dio ha un suo progetto. La persona è chiamata ad uscire
dall’ambito della famiglia e trovare nella obbedienza a Dio la dimensione
ultima della sua vita al di là di ogni tentazione di possesso personale dei
propri genitori. Gesù affermerà più volte di avere Dio per Padre (cf. Lc 10,22;
22,29; Gv 20,17) rivendicando per sé un rapporto che oltrepassa quello paterno
e anche quello materno. Le ultime parole del vangelo d’oggi ci fanno capire
però che il progetto di Dio su di noi si realizza attraverso il passaggio di
crescita e di maturazione in seno alla famiglia: “Scese, dunque, con loro e
venne a Nazaret e stava loro sottomesso…” Gesù vive e cresce in una famiglia
dove Maria e Giuseppe offrono l’insegnamento della loro saggezza rimanendo
sempre aperti al progetto di Dio sul loro figlio. La famiglia in cui la persona
umana nasce e cresce è essenziale; ma la persona dovrà uscire dall’ambito
familiare e trovare nell’obbedienza a Dio la dimensione ultima della sua vita.
La famiglia svolge il proprio compito quando non ostacola, ma si pone al
servizio del pieno sviluppo umano e spirituale della persona.
Oggi si è passati dalla
famiglia con un “ruolo normativo” in cui si trasmettevano principi morali e
norme sociali, alla famiglia “affettiva” orientata a soddisfare i bisogni
individuali dei figli, a evitargli sofferenze e frustrazioni. Stiamo assistendo
ad un’educazione in cui lo stile affettivo tende a predominare su quello
normativo al punto di metterlo in secondo piano.
Sarebbe esagerato ed anacronistico rimpiangere la figura autoritaria dei
genitori che impartivano divieti ed obblighi, così come risulterebbe eccessivo
da parte della famiglia considerare come primario l’aspetto affettivo e
delegare alla scuola il compito di insegnare le regole. Una fede matura e
vissuta coerentemente può essere il modo più adatto di trasmettere ai figli
quei valori che presto o tardi li aiuteranno a crearsi una visione adeguata e
cristiana della vita.