Gn
15,5-12.17-18; Sal 26; Fil 3,17-4,1; Lc 9,28b-36
Vale
la pena fidarsi di Dio perché egli è fedele alle sue promesse. Questo messaggio
riprende e sviluppa uno degli aspetti del messaggio della domenica scorsa
invitandoci ad una fede che si apre alla speranza. Il Sal 26, da cui è tratto
il salmo responsoriale, si esprime in due momenti di un unico atteggiamento di
profonda e sconfinata fiducia in Dio. Nel primo momento tutto è bello e
semplice per chi confida nel Signore. Il secondo momento, che è quello che maggiormente
viene ripreso dal salmo responsoriale, è il momento in cui l’orante cerca il
volto del Signore nel buio della prova; la preghiera diventa lamento senza
smarrire però il suo slancio di speranza e fiducia illimitata in Dio. La
certezza di “contemplare la bontà del Signore nella terra dei viventi”, ci deve
dare la forza della speranza anche nei momenti della sofferenza e della prova.
Un
nomade dell’antico Oriente non poteva avere desiderio maggiore di una dimora
fissa e di una numerosa discendenza. Sono le grandi aspirazioni di Abramo, di
cui parla la prima lettura. Dio gli promette un figlio e una sconfinata
discendenza, ma egli è anziano e sua moglie Sara è sterile; Dio gli promette una
terra, ma la terra su cui Abramo cammina è occupata dai cananei. La fede di
Abramo non ha un appiglio umano a cui potersi attaccare. Ciò nonostante, “egli
credette al Signore, che glielo accreditò come giustizia”. San Paolo ha
chiamato Abramo “padre di tutti noi” (Rm 4,16), cioè capostipite di tutti noi
che crediamo e che per mezzo della fede veniamo giustificati da Dio.
Il
vangelo riporta il brano della trasfigurazione. Gesù offre ai tre discepoli
prediletti una visione anticipata della sua gloria di risorto, che culmina
nella testimonianza del Padre che rivela l’identità profonda di Gesù: “Questi è
il Figlio mio, l’eletto; ascoltatelo”. È da sottolineare l’invito all’ascolto,
ripreso dalla colletta del giorno. Come ricorda il prefazio, poco prima dell’evento
della trasfigurazione, Gesù fa il primo annuncio della sua passione e morte e,
in seguito, indica le condizioni per seguirlo: “Se qualcuno vuol venire dietro
a me, rinneghi sé stesso, prenda la sua croce ogni giorno e mi segua” (Lc
9,23). In questo contesto, l’invito ad ascoltare Gesù acquista un senso preciso
e particolare: ascoltate Gesù perché è mio Figlio; ascoltatelo nonostante le
parole che dice siano paradossali. Fidatevi anche se vi propone un cammino di
sofferenza; seguitelo anche se dovete passare per sentieri stretti e
disagevoli. La trasfigurazione è la grande rivelazione di Gesù, la scoperta
piena della sua realtà a cui si è invitati attraverso l’ingresso nell’oscurità
della fede che ci conduce attraverso la via della croce, sorretti dalla speranza,
all’esperienza della risurrezione.
La
seconda lettura è un’esortazione alla speranza, non in una terra o in una
discendenza, come per Abramo, ma in Dio stesso che si pone come terra promessa,
come futuro capace di appagare pienamente le nostre attese: “La nostra
cittadinanza è nei cieli e di là aspettiamo come salvatore il Signore Gesù
Cristo, il quale trasfigurerà il nostro misero corpo per conformarlo al suo
corpo glorioso”. La contemplazione anticipata della gloria di Gesù non ci
risparmia lo scandalo della croce, ma lo sostiene nella speranza.
La
pienezza perpetua e stabile della nostra trasfigurazione in Cristo avverrà nella
vita eterna, ma si prepara e anticipa qui e ora. La celebrazione eucaristica è
prefigurazione e anticipazione del banchetto eterno nel quale contempleremo il
volto glorioso del Cristo, quel volto trasfigurato di cui i discepoli Pietro,
Giovanni e Giacomo ebbero sul monte Tabor un saggio transitorio.