La riforma liturgica a
seguito del Concilio Vaticano II sembra essere stata guidata da un interesse di
tipo teologico, ossia togliere a questo momento quel carattere “offertoriale”
che ne faceva quasi un’offerta anticipata e a sé stante del sacrificio
eucaristico. Tuttavia, la riforma rituale che ne è scaturita non sembra essere
riuscita a dare un valore preciso a tale momento rituale. Talora risulta troppo
impoverito, come un momento di passaggio da affrettare; altre volte viene
enfatizzato oltre misura, ma con una processione di cosiddetti “simboli” che
spesso pare più finalizzata ad una auto-presentazione degli offerenti ed
eventualmente delle loro intenzioni. Lo stesso nome che si è voluto dare a
questa sequenza rituale risulta troppo superficiale: “preparazione dei doni”,
come se si trattasse di un momento da svolgersi “dietro le quinte”,
semplicemente funzionale a ciò che segue, e non avesse una dignità che gli
deriva di essere anch’esso una ripresa del gesto di Gesù: “prese il pane… prese
il calice”. Stupisce, invece, la ricchezza teologica conservata nelle orazioni super
oblata, che sono le più esplicite e profonde sul tema del sacrificio.
Probabilmente anche la stessa riflessione teologica dev’essere meglio
calibrata, immaginando una tensione dinamica che unisce tutta la celebrazione,
senza pensare a due offerte sacrificali distinte ma all’unica offerta del
sacrificio di Cristo che innesca la sua dinamica già nell’offerta del pane e
del vino, come anche in tutte le altre parti della celebrazione. Credo in ogni
caso che, per quanto opportuno, non sia sufficiente pensare ad un nuovo nome
per questa sequenza rituale. È importante soprattutto richiamare tutti a vivere
in questo momento una reale donazione, un distacco da qualcosa che sia
realmente destinato ad altri, si tratti di doni per l’eucaristia o di altri
doni (OGMR 73 parla della possibilità dei fedeli di “fare offerte in denaro o
presentare altri doni per i poveri o per la Chiesa”). Questo significherebbe
innescare in modo veritiero e coinvolgente la dinamica sacrificale che ci unisce
al dono di Cristo.
Allargando quest’ultima
considerazione, si vede l’opportunità di evidenziare complessivamente la connessione
tra tutte le parti della messa. In particolare, quasi con un intento
mistagogico, si può mettere in luce la stretta continuità che attraversa la
liturgia eucaristica e che deve essere percepita nel percorso stesso che è
compiuto dal pane e dal vino. Ciò può essere mostrato nella descrizione di una
celebrazione eucaristica in cui si mettono in atto adeguatamente le possibilità
rituale che essa prevede. Si può partire dalla processione in cui vengono portati
il pane e il vino all’altare. Essa dice, anche senza “parole”, il
coinvolgimento dell’assemblea e la provenienza del cibo dalla nostra vita: è “frutto
della terra/della vite e del lavoro dell’uomo”. Prendere in mano questi
alimenti è come accogliere la nostra vita e il nostro mondo, accoglierli
vedendo in essi il segno della benedizione di Dio (“dalla tua bontà abbiamo
ricevuto…”). Nello stesso tempo, non assumiamo subito tale cibo, anzi ci
distacchiamo ulteriormente da esso, portandolo e deponendolo all’altare: solo in
questo modo possiamo riceverlo come “altro”. All’altare, infatti, si compie la
grande preghiera eucaristica, la quale, nel rendere grazie al Padre e con l’invocazione
dell’azione dello Spirito, trasforma il pane e il vino nel sacramento del corpo
e sangue di Cristo e lo offre al Padre come unico “sacrificio a te gradito, per
la salvezza del mondo” (Preghiera eucaristica IV). Questo sacrificio, come è
stato detto più sopra, già ci include e ci porta con sé, proprio nei segni di
un pane e vino che sono dati a noi da Gesù perché ne mangiamo e beviamo tutti.
Per questo l’offerta del sacrificio in realtà si prolunga nei riti di comunione,
ossia nella frazione del pane e nella condivisione del cibo eucaristico, che
portano a compimento sacramentale la finalità stessa del sacrificio pasquale […]
Quando nella recezione
sacramentale il ministro dice: “Il Corpo di Cristo / Il Sangue di Cristo”) e il
fedele risponde “Amen”, si condensa in questo piccolo dialogo ciò che è
avvenuto nella preghiera eucaristica: grazie ad essa, infatti, possiamo
affermare e riconoscere in questo pane e vino il corpo e il sangue di Cristo,
dati per noi. Ma a questo punto si compie anche il percorso celebrativo del
pane e del vino. Alla processione di offerta dei doni dalla navata all’altare,
corrisponde ora, in direzione inversa, la processione dei doni “eucaristizzati”
dall’altare alla navata. Così si compie anche la nostra inclusione nel sacrificio
di Cristo: essa consiste, all’interno della celebrazione, nell’essere associati
a lui, nel divenire una sola cosa con Lui tramite l’intera gestualità della
cena.
Fonte.- Luigi Girardi, “Il
sacrificio eucaristico in prospettiva teologica”, in Fabio Trudu (ed.), Teologia
dell’eucaristia. Nuove prospettive a partire dalla forma rituale (Bibliotheca
“Ephemerides Liturgicae” “Subsidia” 193), CLV Edizioni Liturgiche, Roma 2020,
107-109.