Is 50,4-7; Sal 21; Fil
2,6-11; Lc 22,14-23,56
Gesù agonizzante attribuisce
a sé il Sal 21, preghiera di lamentazione, riprendendone le prime battute: “Mio
Dio, mio Dio, perché mi hai abbandonato?” (cf. Mc 15,34), parole che noi
ripetiamo oggi come ritornello del salmo responsoriale. Il salmo in questione è
un testo di grande desolazione, segnato da immagini forti. L’orante, immerso
nella sofferenza e vicino alla morte, sente il silenzio di Dio e l’ostilità
degli uomini. Ma all’improvviso, la supplica diventa fiduciosa attesa
dell’aiuto di Dio e poi ringraziamento festoso al Signore, re dell’universo.
All’inizio della settimana di passione, questo salmo ci introduce adeguatamente
nella celebrazione del mistero pasquale di Gesù, che va dalla morte alla vita,
dalle ombre del sepolcro alla luce della risurrezione. Su questa linea, la
colletta della messa ci invita ad avere sempre presente il grande insegnamento
della passione di Cristo, per poter partecipare alla gloria della sua
risurrezione.
Nella celebrazione odierna sono evocati i due momenti del
mistero pasquale: la commemorazione del trionfale ingresso di Gesù in
Gerusalemme, con cui egli afferma la sua dignità messianica, e la sua morte in
croce, che indica il modo con cui essa si esprime. La passione e morte sono narrate
con dovizia di dettagli nella lettura evangelica della passione secondo Luca, a
cui si affiancano le altre due letture, che creano il clima adatto per
l’ascolto della passione: la lettura profetica presenta la figura misteriosa del
Servo sofferente, che assume su di sé le colpe di tutti e le riscatta; quella
apostolica è un inno cristologico in cui si afferma che il Figlio di Dio proprio
perché ha accettato i limiti e la povertà della condizione umana, Dio “l’ha
esaltato”.
Il racconto della passione è così denso che non avrebbe
bisogno di commenti. Tuttavia, notiamo alcune caratteristiche della redazione di
Luca, un racconto pieno di tenerezza, impostato secondo un’ottica personale ed
esortativa: spuntano nel succedersi degli eventi le continue reazioni tra il
discepolo che assiste e il Cristo sofferente. Seguendo Gesù nella passione, il
discepolo – ciascuno di noi – è invitato ad una adesione personale ed
esistenziale. Come Simone di Cirene e le pie donne, che seguono Gesù anche in
questi momenti decisivi e drammatici, pure noi siamo invitati a seguirlo e a
portare la croce dietro a lui. Nel racconto del momento supremo della
crocifissione e morte di Gesù, san Luca ricorda tre espressioni del Salvatore
che non trovano riscontro negli altri evangelisti. Anzitutto le parole di
perdono per i crocifissori: “Padre, perdona loro perché non sanno quello che
fanno”. Il Salvatore con la sua preghiera di perdono per i suoi carnefici si fa
norma ed esempio vivente di quanto aveva insegnato ai discepoli. Poi al buon
ladrone Gesù morente rivolge queste parole: “In verità io ti dico: oggi con me sarai
nel paradiso”. Anche queste sono parole di perdono e di bontà; parole, poi, che
aprono il cuore di tutti noi alla speranza e invitano a guardare in avanti
verso la luce della Pasqua di risurrezione. Finalmente nel racconto lucano,
Gesù muore con la preghiera sulle labbra: “Padre, nelle tue mani consegno il
mio spirito”, parole prese dal Sal 31,6 che faceva parte della preghiera serale
degli ebrei. Con queste parole Gesù morente non manifesta soltanto il suo
abbandono fiducioso, ma anche la sua piena accettazione del piano di salvezza
voluto dal Padre; in tal modo Gesù muore come il perfetto giusto che si rimette
nelle mani del Padre.
“Con la sua morte lavò le nostre colpe e con la sua
risurrezione ci acquistò la salvezza” (prefazio). Questo mistero si ripresenta
sacramentalmente nel sacrificio eucaristico.