Is
43,16-21; Sal 125; Fil 3,8-14; Gv 8,1-11
La
prima parte del salmo responsoriale riflette l’esultanza degli Israeliti per il
loro ritorno in patria dalla schiavitù babilonese. Nella supplica della seconda
parte invece il salmista si rivolge a Dio perché porti a compimento il suo
progetto e non abbandoni il popolo nella faticosa opera di restaurazione. È un
salmo di speranza, che emerge e si rivela proprio quando a livello umano non appare
un minimo di spazio su cui appoggiarla. Dio è grande e fedele, ma ogni gioia
passa attraverso la faticosa purificazione del cuore. Come il Signore ha un
tempo liberato il suo popolo dalla schiavitù, così egli offre oggi a noi la
libertà dalla schiavitù di noi stessi, dei nostri peccati.
Filo
conduttore dei vari testi odierni potrebbe essere il tema dell’“esodo”. Una
delle costanti nelle pagine dell’Antico Testamento, che si espande nel messaggio
cristiano del Nuovo Testamento, è quella della liberazione dalla schiavitù
personale, interiore, sociale e politica. Il profeta Isaia (prima lettura)
evoca l’evento dell’esodo, il cui ricordo è visto dal profeta come incentivo
che apre il cuore d’Israele al futuro in cui Dio si ripromette di intervenire con
nuovi prodigi in favore del suo popolo. L’apertura verso un futuro di speranza
e di liberazione piena rilancia questo messaggio e lo orienta verso Cristo,
supremo perfezionatore della liberazione qui annunciata. San Paolo (seconda
lettura) dice di voler dimenticare il passato e di essere proteso verso il
futuro; si tratta quindi anche qui di un esodo, sia pure a livello personale.
Egli ricorda il suo passato per riaffermare la scelta che ha fatto di Cristo,
“per il quale – afferma – ho lasciato perdere tutte le cose e le considero come
spazzatura, al fine di guadagnare Cristo…”
Nel
vangelo vediamo Gesù circondato da un gruppo di scribi e farisei che gli
conducono una donna accusata di adulterio. Gli Scribi ed i farisei si rivolgono
a Gesù accusando la donna, parlano della
donna ma non alla donna. Gesù invece
risponde a loro, poi si rivolge direttamente all’adultera: prima parla con lei
degli altri (“Nessuno ti ha condannata?”); infine le rivolge la parola decisiva
di perdono (“Neanch’io ti condanno, va’ e d’ora in poi non peccare più”). Da
una parte, gli scribi e i farisei, negatori di ogni perdono. Dall’altra parte,
Gesù che pur non eludendo il problema del peccato della donna, contesta non la validità
della denuncia degli accusatori, ma la loro presunta giustizia, il loro erigersi
a giudici e difensori del diritto divino: “Chi di voi è senza peccato, getti
per primo la pietra contro di lei”. Gesù invita i suoi avversari a guardarsi dentro,
a vagliare il proprio cuore, sentimenti e desideri; solo così parole e azioni
potranno essere autentiche.
Non
mancano oggi storie scandalistiche. Ce n’è tutta una gamma che va dal piccolo
pettegolezzo fino agli affari e vicende delle persone in vista, cose che
forniscono un inesauribile materiale ai vari rotocalchi. Anche qui queste vicende
vengono presentate talvolta in un atteggiamento accusatore di indignazione
morale, con il quale si intende giustificare a sé stessi e agli altri il fatto
che ci si occupa di simili argomenti. Il vangelo ci invita a volare più in alto,
guardando le cose dei nostri simili con occhi di misericordia. Là dove c’è una
persona piegata in due sotto il peso delle colpe, là ci deve essere il dono
della liberazione e della vita nuova. Ricordiamo finalmente che il futuro della
salvezza, pur rimanendo sempre un dono gratuito dell’amore di Dio, è però
legato anche al nostro impegno concreto. Dopo il dono del perdono, Gesù aggiunge:
“Va’ e d’ora in poi non peccare più”, parole che rivelano il senso dell’intero
racconto che, possiamo dire, viene interpretato come un esodo morale di
conversione.